Personale

Il divieto di cumulo degli impieghi vale per tutti i manager pubblici

Il vincolo d'incompatibilità con qualsiasi altro lavoro, dipendente o autonomo, serve a tutelare l' imparzialità dello Stato

di Pietro Alessio Palumbo

L'ambito di applicazione della disciplina in materia di incompatibilità e cumulo d'impieghi va intesa tale da ricomprendere sia i dipendenti il cui rapporto di lavoro sia stato contrattualizzato, sia quelli rimasti in regime di diritto pubblico, sia i lavoratori professionali con rapporto a tempo determinato o part-time al di sopra di certi limiti, sia coloro che svolgono incarichi onorari, sia coloro che sono legati alla Pa per effetto di un contratto di diritto privato anche di natura autonoma. Quel che conta, hanno precisato le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 25369/2020 affrontando il caso del direttore generale di un ente del Ssn, è lo svolgimento di funzioni in qualità di «agente dell'amministrazione pubblica», da cui deriva, in ogni caso, il rispetto del primario dovere di esclusività.

Il conflitto (anche potenziale) d'interessi
Il Testo unico del pubblico impiego specifica che le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti, incarichi non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati. In tutti i casi, ai fini del rilascio dell'autorizzazione, l'amministrazione è tenuta a verificare necessariamente le situazioni, anche solo potenziali, di conflitto di interessi, adoperandosi così ad assicurare il più efficace rispetto dell'«obbligo di esclusività». Dovere che risponde al buon andamento, all'imparzialità e alla trasparenza dell'amministrazione; e che è di carattere primario, potendo a esso derogarsi solo nei casi, tassativi, espressamente elencati dal Tupi. L'eventuale illecito in questione - si badi - è un illecito amministrativo che non ha natura fiscale-tributaria-finanziaria, ma è riconducibile alla disciplina del pubblico impiego.

La "reputazione" dello Stato
Le pubbliche amministrazioni sono determinanti per la reputazione e quindi l'affidabilità dello Stato. Requisiti che a loro volta hanno grande rilevanza dal punto di vista economico. Pertanto, grazie alle sollecitazioni Ue e dell'organizzazione internazionale del lavoro anche nel nostro ordinamento si è progressivamente diffusa l'esigenza di puntare su Pa organizzate in modo da tutelare la legalità e l'etica dell'agire del pubblico funzionario. A questa logica risponde la disciplina generale in materia di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi del lavoro pubblico. Si tratta di una normativa volta a garantire l'obbligo di unicità d'impiego che ha primario rilievo in quanto trova il proprio fondamento nella Costituzione. Con l'articolo 98 i costituenti, nel prevedere che i pubblici impiegati sono al servizio «esclusivo» della Nazione hanno voluto fortificare il principio di imparzialità dello Stato, sottraendo da condizionamenti di potere tutti coloro che svolgono un'attività lavorativa «alle dipendenze» - in senso lato - delle pubbliche amministrazioni.

Gli incarichi "fiduciari"
I rapporti di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario del Ssn sono regolati da contratti di diritto civile, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, stipulati in osservanza di norme privatistiche. Ebbene nonostante le evidenti caratteristiche "fiduciarie" degli incarichi in questione, e proprio al fine di ridurre l'ambito della discrezionalità politica (che comunque permane nella scelta degli stessi) per le sezioni unite deve affermarsi l'«esclusività» di questo rapporto, con correlata incompatibilità con qualsiasi altro lavoro, dipendente o autonomo. Il fine è l'integrità dello Stato. Al di là di ogni ragionevole dubbio.

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