Fisco e contabilità

Imu, in categoria D/1 le cave destinate solo all’estrazione

L’accatastamento fra i terreni non sarebbe rappresentativo della ricchezza dell’attività

di Pasquale Mirto

Con la sentenza n. 1404 del 18 gennaio 2022, la Corte di cassazione conferma l'accatastamento in categoria D/1 delle cave, anche se destinate esclusivamente ad attività estrattiva. Con la pronuncia, che non consta di precedenti specifici, si è definitivamente accertata l'assoggettabilità a Imu delle cave, o come aree fabbricabili, o come fabbricati.

L'assoggettabilità come area fabbricabile della cava è stata sancita da un centinaio di sentenze della Corte di cassazione (da ultimo, n. 30752/2021). L'assoggettabilità come fabbricato, invece, era stata affermata dall'agenzia delle Entrate, e in particolare nella nota prot. 75779/2008, dove era stata individuata come categoria catastale proprio la categoria D/1.

Nel caso scrutinato dalla Corte, l'accatastamento era stato operato "d'ufficio", a seguito dell'attivazione da parte del Comune della procedura di cui al comma 336 della legge 311/2014, che prevede, in caso di inerzia dell'intestatario catastale, l'intervento in surroga della stessa Agenzia.

La Corte di cassazione ricostruisce il quadro normativo, dando atto che la normativa (articolo 18, Rd 1572/1931) esclude l'accatastamento delle cave nel catasto terreni, sicché un loro accatastamento in tale catasto non è espressivo dell'effettiva ricchezza derivante dallo svolgimento dell'attività estrattiva, che è attività di carattere esclusivamente industriale (in tal senso, Corte costituzionale, ordinanza 285/2000).

La previsione che le cave non debbano essere iscritte al catasto terreni non implica che queste siano escluse dall'accatastamento all'urbano. Infatti, il Rd 652/1939, individua espressamente, all'articolo 6, i fabbricati che non sono oggetto di accatastamento, e questi non includono le cave. Anzi, sono diverse le disposizioni che impongono l'accatastamento come unità immobiliare, come l'articolo 2 del Dm 28/1998, il quale precisa che l'unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da "un'area", che, nello stato in cui si trova e secondo l'uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale.

È evidente, afferma la Corte, che la cava rappresenta un'area dotata di autonomia funzionale e reddituale. D'altro canto, la definizione di unità immobiliare suscettibile di accatastamento differisce dalla nozione di fabbricato usata nel linguaggio corrente, tant'è che il giudice di legittimità ha confermato l'accatastamento delle discariche dei rifiuti (Cassazione n. 12741/2018), delle centrali elettriche (Cassazione n. 2621/2018), dei parchi eolici (Cassazione n. 3354/2015), delle centrali telefoniche (Cassazione n. 24924/2016), delle piattaforme petrolifere (Cassazione n. 3618/2016), ma anche degli specchi d'acqua (Cassazione n. 8141/2021).

Conclusivamente, le cave andrebbero accatastate in categoria D/1; in caso di inerzia del proprietario, il Comune può attivare la procedura di cui al comma 336 della legge 311/2014, e comunque, nelle more dell'accatastamento è possibile il loro assoggettamento come area fabbricabile. Inoltre, senza richiedere l'intervento dell'agenzia delle Entrate, è possibile procedere - visto che si tratta di fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, se interamente posseduti da imprese - alla loro valorizzazione mediante le scritture contabili (in tal senso, Cassazione n. 3978/2021).

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