Imu, tassabili le aree commerciali o industriali con autonomia funzionale e reddituale
La continua evoluzione sociale, la crisi che ha colpito l'economia e la conseguente riduzione del gettito tributario tradizionale inducono gli enti locali a ricercare nuove basi imponibili anche attraverso un procedimento interpretativo «fluido» e più ampio di regole esistenti, condiviso dalla Suprema Corte di cassazione la quale tuttavia, talvolta, ha dichiarato lo stato di incertezza normativa dal quale ha fatto discendere la non applicazione delle sanzioni tributarie.
Un esempio, al riguardo, è la tassazione ai fini Ici/Imu delle aree dotate di autonomia funzionale e reddituale le quali vanno iscritte al catasto fabbricati in base a quanto disposto dall'articolo 2 del Dm 28/1998, che dispone che l'unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da «un'area», che, nello stato in cui si trova e secondo l'uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale. Spesso i proprietari di tali aree ritengono le stesse non tassabili in quanto classificabili catastalmente nel gruppo "E" (l'articolo 7, comma 1, lettera b) del Dlgs 504/1992 dispone l'esenzione ai fini Ici - e quindi Imu - degli immobili accatastati nelle categorie catastali da E/1 a E/9).
La qualificazione nel gruppo E, tuttavia, è propria di quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri) con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale che li rende sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale.
La legge 262/2006, articolo 2, comma 40, dispone infatti: «Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale.». Questo significa che aree definite di pubblico interesse quali porti (Cassazione 4221/2019), discariche (Cassazione 12741/2018), impianti eolici (Cassazione 13779/2019) impianti fotovoltaici, qualora gestite secondo parametri imprenditoriali devono essere accatastate in categoria catastale "D" e fornire base imponibile ai fini Imu. Vero è che il legislatore è intervenuto a ridurre la pressione fiscale su tali fattispecie con la Legge 208/2015 (cosiddetta «svuotaimpianti»), la quale prevede che la rendita degli opifici non debba comprendere gli impianti stabilmente infissi al suolo (cosiddetti «imbullonati»): in tal modo tale rendita viene significativamente ridotta.
Cave e miniere
Analogo ragionamento va fatto a proposito della classificazione catastale di cave, miniere, saline, laghi, stagni da pesca e tonnare, che l'articolo 18 del Regio decreto 8 ottobre 1931 n. 1572 esclude dalla stima fondiaria e che l'Agenzia del Territorio, con nota protocollo n. 75779 del 4 novembre 2008 ritiene debbano essere iscritte al Catasto fabbricati in base allo stesso disposto dall'articolo 2 del Dm 28/1998.
A proposito di queste ultime la sentenza n. 4410/2017 della Cassazione riconosce la pretesa impositiva di un Comune che ha considerato il terreno destinato a cava come area fabbricabile, quindi assoggettato ad Imu. Questo orientamento è solo apparentemente in contrasto con quello dell'Agenzia delle Entrate, la quale accatasta come fabbricati le cave dal momento della loro operatività. Infatti il terreno su cui verrà realizzato l'opificio (cava in attività) viene considerato imponibile sin dalla sua classificazione all'interno del piano regolatore comunale, quale cava. L'accatastamento, se non effettuato dall'operatore economico, può essere richiesto all'Agenzia delle Entrate dal Comune interessato, in base a quanto disposto dal comma 336 della legge 311/2004: per far ciò, quest'ultimo deve indicare la data - relativa all'anno in accertamento - nel quale era presente l'attività di cava.
L'Agenzia quindi accatasterà secondo le norme vigenti a quella data. Se la data di attivazione della cava è anteriore al 2016, la rendita comprenderà anche gli impianti imbullonati sull'area. Gli uffici tributari degli enti locali, qualora volessero percorrere la via della richiesta di accatastamento testé descritta, prima di accertare (e, quindi, recuperare) nuova base imponibile nei confronti dei concessionari di cave estrattive devono però essere consci che questi ultimi possono fare ricorso al giudice contro l'accatastamento: si potrebbero a questo punto configurare diversi scenari.
Invece di attendere l'esito della lite sino alla Cassazione, i concessionari potrebbero scegliere di transare (davanti al giudice od avvalendosi di uno degli strumenti deflattivi del contenzioso tributario), così evitando l'incertezza sull'esito finale e le eventuali spese di giudizio chiedendo di far valere dal 2016 lo «svuotaimpianti», con riduzione della rendita. Le circolari dell'Agenzia non prevedono tuttavia tale possibilità, sicché resta in capo al singolo funzionario dell'Agenzia la scelta accogliere la richiesta di annotare la rendita, calcolata secondo la legge 208/2015, consentendo al Comune di rendere operativa (accertamento e riscossione) la propria pretesa tributaria basata su tale rendita. È ovvio che la rendita iscritta a catasto è tassativa tanto per il contribuente quanto per il Comune (si veda, al riguardo, la sentenza della Cassazione, sezioni unite, n. 18565/2009).
(*) Docente Anutel
Monitoraggio trimestrale e relazione al conto annuale, le verifiche del revisore
di Corrado Mancini e Patrizio Battisti - Rubrica a cura di Ancrel