Agriturismi e attività connesse all’agricoltura, ancora incertezza sul trattamento Tari
Alcuni recenti interventi della giurisprudenza hanno riaperto il dibattito sull’applicazione della Tari agli agriturismi e, più in generale alle attività connesse all’agricoltura. La questione si è posta dal 2020 con l’emanazione del Dlgs 116 che apportava significative modifiche al testo unico ambientale (Tua).
Il Governo era infatti stato delegato, con la legge 117/2019, a recepire i contenuti della direttiva UE 851/2018 relativa al settore dei rifiuti. In tale contesto il decreto legislativo di riforma della disciplina ambientale aveva stabilito che, oltre alle attività agricole, anche quelle connesse all’agricoltura risultavano escluse dal novero di quelle che dove si producono rifiuti simili, per natura e composizione, ai rifiuti domestici. In altri termini termini il legislatore delegato aveva esteso il regime della esclusione dalla Tari (e dalla tariffa corrispettiva) a tutte le superfici detenute da soggetti che esercitavano attività connesse all’agricoltura assumendo che i rifiuti dalle stesse prodotti dovessero qualificarsi obbligatoriamente come speciali.
La questione sollevò un certo sconcerto tra gli operatori e taluni commentatori fecero notare che in questo modo la normativa nazionale non risultava in linea con le indicazioni eurounitarie per le quali il regime dei rifiuti speciali, pienamente riconosciuto per le attività agricole, non si estendeva alle attività connesse. In questo senso anche Ifel (fondazione di Anci) in una nota di commento sostenne che le nuove norme dovessero essere lette ed interpretate in relazione alla direttiva UE con la conseguenza che i locali utilizzati per attività connesse afferivano al regime di imponibilità Tari.
La fase di incertezza che ne seguì pose notevoli problematiche sia gli enti impositori sia per i contribuenti interessati, in particolare per i gestori di agriturismi, strutture pacificamente rientranti tra le attività connesse all’agricoltura. Questi ultimi avrebbero potuto presentare dichiarazione di cessazione delle utenze Tari, rientrando nel regime dei rifiuti speciali, applicandosi però una serie di obblighi di trattamento degli stessi sicuramente gravoso per i gestori. Senza contare che le aziende agrituristiche sarebbero state private del servizio pubblico di raccolta e smaltimento con la necessità di individuare soggetti autorizzati al trattamento dei rifiuti speciali cui corrispondere delle somme per la gestione del servizio.
Le problematiche e i disagi prodottisi avevano indotto i commentatori a presumere che il ministero competente sarebbe intervenuto con una correzione “chirurgica” sulla norma di legge. In particolare nel corso del passaggio parlamentare del decreto legislativo di correzione della normativa ambientale era apparsa la possibilità di integrare tra i rifiuti urbani quelli «prodotti da agriturismi, fattorie didattiche e spacci aziendali». Le aspettative si sono però rivelate vane in quanto il Dlgs 213/2022, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 1° giugno 2023, ha lasciata immutata la disciplina applicabile in particolare omettendo di intervenire sull’allegato L-quinquies dal Dlgs 152/2006.
Successivamente, nessun procedimento normativo è intervenuto per sanare questa evidente incongruenza. Peraltro, ancora oggi, mancano prese di posizione definitive della Cassazione che non ha ancora avuto modo di scrutinare la normativa esistente. Appaiono però di utilità alcuni recenti pronunciamenti della Suprema Corte riferiti al regime normativo previgente. Con la ordinanza n. 4938/2024 la Corte, valutando una casistica nella quale si contestava l’applicazione della categoria degli alberghi per un agriturismo, aveva stabilito che la connessione e la complementarietà dell’attività agrituristica rispetto a quella agricola, non vale a escludere la tassazione sui rifiuti, né può giustificare l’applicazione di una (inesistente) tariffa agricola.
Se pertanto i rifiuti dell’attività agrituristica, almeno fino all’entrata in vigore delle modifiche al testo unico ambientale, non potevano considerarsi comunque rifiuti agricoli al pari di quelli derivanti da attività propriamente tali (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali) cui accedono in ragione della necessaria connessione, più incerto era l’inquadramento all’interno delle categorie tariffarie stante la ripetuta contestazione dell’assimilazione a quella degli alberghi (con o senza ristorante). Sul punto la Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria (sentenza 13 febbraio 2024, n. 68), allineandosi all’orientamento del Consiglio di Stato (sentenza 1162/2019), aveva sostenuto che «I Comuni, ai fini della tassazione sui rifiuti solidi urbani, devono prevedere nelle delibere di approvazione delle tariffe e/o del Regolamento una classificazione e una tariffa autonoma per le attività di agriturismo rispetto alle attività alberghiere». Peraltro diversi Comuni hanno affrontato la tematica istituendo, nei propri regolamenti della tassa, una sottocategoria, all’interno di quella destinata agli alberghi, assumendo che gli agriturismi, per le particolarità del regime autorizzatorio ed operativo, abbiano una potenzialità di produzione di rifiuti inferiore ai primi.
Tutti gli interventi citati si riferiscono però a contesti anteriori al 2021 e non risolvono il quesito in ordine alla esclusione totale di tali attività dalla Tari secondo l’assunzione di produzione di rifiuti speciali cui parrebbe indurre l’allegato L-quinquies del Tua.
È bene vero che, in vigenza della normativa tributaria locale, i soggetti interessati a far valere il regime di esclusione debbano attivarsi, come già detto, presentando la dichiarazione Tari. Ed è altrettanto esperienza comune quella per la quale la gran parte delle strutture non abbia avviato alcuna azione per cessare la propria posizione tributaria.
Qualora però tale circostanza si determinasse, i gestori delle tariffe e rapporti con gli utenti sarebbero comunque tenuti a notiziare il gestore del ciclo dei rifiuti per la rimozione degli eventuali impianti di raccolta a servizio dell’agriturismo cessato e quest’ultimo sarebbe chiamato conseguentemente a farsi carico integralmente degli impegnativi e sgraditi adempimenti relativi al corretto trattamento dei rifiuti speciali.
Nella sostanza la situazione pone gli enti impositori e i gestori degli agriturismi di fronte a dilemmi operativi che potrebbero agevolmente essere risolti con un (auspicabile) intervento risolutivo del legislatore che individui chiaramente questi ultimi come produttori di rifiuti simili agli urbani e pertanto che ne assuma la pacifica ed integrale soggezione alla normativa della tassa sui rifiuti. Argomentazioni simili potrebbero poi estendersi, più in generale, a tutte le attività oggetto di connessione con quella agricola per le quali potrebbe essere colta l’opportunità di superare la distonia con le norme europee.
(*) Presidente comitato ANUTEL Toscana
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