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L' adeguamento del regolamento edilizio comunale a quello tipo non prevale sul piano regolatore

Il Consiglio di Stato traccia una linea chiara e netta per i Comuni ancora alle prese con le delibere di consiglio

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di Pippo Sciscioli

L'adeguamento del regolamento edilizio comunale al regolamento edilizio tipo (Ret), varato a livello nazionale, da parte dei Comuni non determina automaticamente la modifica dei parametri dimensionali contenuti nel piano regolatore generale del Comune senza fare preventivamente ricorso alla variante urbanistica di concerto con la Regione.

Sia l'adeguamento formalmente approvato dal consiglio comunale, con il contestuale recepimento delle 42 definizioni uniformi, sia l'adeguamento verificatosi di fatto per decorso infruttuoso del termine assegnato dalle Regioni per procedere, così come previsto dall'Intesa raggiunta in sede Conferenza Stato-Regioni del 20 ottobre 2016, non possono comportare automaticamente la modifica delle previsioni dimensionali degli strumenti urbanistici comunali che restano invece disciplinate dal Prg.

La sentenza n. 1339 del 15 febbraio scorso del Consiglio di Stato traccia una linea chiara e netta per i Comuni ancora alle prese con le delibere di consiglio comunale di adeguamento dei propri regolamenti edilizi a quello fissato a livello nazionale. E pone regole chiare cui i Comuni devono attenersi anche nel recepimento delle 42 definizioni edilizie uniformi o di quelle ulteriori eventualmente previste dalle Regioni in fase di primo adeguamento.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, poiché si verte in ambito edilizio, l'adeguamento al Ret fà salvo il principio della «invarianza urbanistica» e dunque non può spingersi fino al punto di superare le norme tecniche di attuazione contrastanti del Prg comunale, in ragione dell'espressa clausola di salvaguardia contenuta all'articolo 2, comma 4 dell'Intesa del 2016.

In altre parole, è sempre salva l'autonomia pianificatoria urbanistica dei Comuni che sconta la doverosa osservanza della sequenza procedimentale della variante urbanistica (Legge 1150/1942).

Il "casus belli", che ha riguardato un Comune pugliese, risolto dal Consiglio di Stato, è legato ad una delle 42 definizioni contenute nel RET e da recepire in sede locale e cioè la superficie accessoria, intendendosi per essa le autorimesse, le cantine, i vani scala, i portici, le logge, ecc.

Nel caso di specie, la legge regionale nel definire le nozioni di superfici accessorie e di volume costruibile qualificava il volume costruibile del fabbricato al netto delle superfici accessorie, fra cui appunto vani scala, autorimesse e cantine.

L e norme tecniche di attuazione del Prg del Comune, che non aveva ancora adeguato il proprio regolamento edilizio, includevano invece nella definizione di volume costruibile anche le superfici accessorie. Di qui, il diniego dell'ente nei confronti di una ditta che intendeva demolire un fabbricato esistente e ricostruirlo, stralciando tuttavia dal volume costruibile proprio le superfici accessorie.

Il Consiglio di Stato, nel riformare la sentenza di primo grado, ha dato ragione al Comune, affermando il principio, in linea con l'articolo 2, comma 4 dell'Intesa, per cui se gli strumenti urbanistici comunali contengono previsioni dimensionali in contrasto con il Ret e con le norme regionali di adeguamento le stesse non vengono meno solo perchè il Comune non ha proceduto tempestivamente all'adeguamento del proprio regolamento edilizio.

Né sono recessive rispetto alla semplice delibera di consiglio comunale di recepimento del Ret che non abbia contestualmente modificato il Prg nelle parti in contrasto.

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