Personale

L'affidamento di mansioni dirigenziali temporanee non incide sull'indennità di buonuscita

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di Carmelo Battaglia e Domenico D'Agostino

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13431/2019, ha ribadito il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite in materia di liquidazione della buonuscita al dipendente pubblico cessato dal servizio con mansioni superiori, senza aver conseguito la qualifica di dirigente.
Più precisamente, le Sezioni Unite hanno risolto la controversia della giurisprudenza di legittimità statuendo che, nel regime di indennità di buonuscita spettante, ai sensi degli artt. 3 e 38 del Dpr 1031/1973, al dipendente pubblico cessato dal servizio con incarico dirigenziale temporaneo di reggenza, ai sensi dell’art. 52, Dlgs 165/2001, nella base di calcolo dell’indennità va considerato lo stipendio relativo alla qualifica di appartenenza e non quello corrisposto per il temporaneo esercizio delle mansioni di dirigente (Cass., Sez. Un., 14.05.2014, n. 10413; Cass. 24.11.2016, n. 24099).
Il caso in esame riguarda un dipendente pubblico che aveva intimato all’Inpdap il pagamento delle differenze retributive per le mansioni superiori svolte, diritto che gli era stato riconosciuto con sentenza passata in giudicato.
Il Tribunale di Benevento e, successivamente, la Corte d’Appello di Napoli avevano rigettato l’opposizione, avverso il decreto ingiuntivo, proposta dall’Inps. Secondo la Corte territoriale, in ossequio al principio espresso dalla stessa Cassazione con sentenza n. 9646/2012, l’indennità di buonuscita dei dipendenti statali, pur realizzando una funzione previdenziale, aveva natura retributiva e, alla luce del principio di proporzionalità di cui all’articolo 36 della Costituzione, doveva essere commisurata all’ultima retribuzione percepita, anche se relativa a mansioni superiori, purché svolte con pienezza di poteri e responsabilità.
L’Inps ha proposto ricorso per Cassazione contestando che l’espressione “stipendio” va riferita a quello maturato dal lavoratore alla data di cessazione del rapporto per la qualifica di appartenenza, non certo a quello percepito per incarichi di qualifica superiore a carattere temporaneo.
La Cassazione ha ritenuto il motivo fondato, ricordando che le Sezioni Unite sono intervenute a comporre il contrasto giurisprudenziale, formatosi all’interno della Sezione Lavoro, enunciando il principio di diritto in base al quale “nella base di calcolo dell’indennità va considerato lo stipendio relativo alla qualifica di appartenenza e non quello corrispondente per il temporaneo esercizio delle superiori mansioni di dirigente” (Sez. Un., 14.05.2014, n. 10413).
La successiva giurisprudenza, infatti, si è unanimemente conformata alla posizione delle Sezioni Unite, considerando come retribuzione, utile ai fini del calcolo delle prestazioni previdenziali erogate dall’Inps, unicamente lo stipendio lordo, eventuali assegni personali ed altre competenze a carattere fisso e continuativo, escludendo dal computo tutte le indennità ed i compensi corrisposti a titolo di trattamento accessorio, quali le differenze retributive per mansioni superiori, la cui peculiare disciplina, nel pubblico impiego contrattualizzato, è stata introdotta dall’articolo 25, Dlgs 80/1998 e, poi, trasfusa nell’articolo 52, Dlgs 165/2001.
Il legislatore ha inteso escludere che l’attribuzione di mansioni superiori possa avere alcun effetto sulla carriera del dipendente e ha limitato il diritto a percepire il trattamento economico corrispondente alla qualifica superiore, temporaneamente ricoperta, al periodo di svolgimento effettivo della prestazione.
Le relative attribuzioni stipendiali, pertanto, non dipendono dalla qualifica di appartenenza e dall’anzianità di servizio, ma costituiscono voci retributive collegate all’effettività ed alla durata della prestazione superiore e sono prive di effetti ai fini dell’inquadramento del lavoratore nella qualifica superiore. D’altronde, riconoscere l’incidenza dell’incarico di reggenza sul calcolo dell’indennità di buonuscita, equivarrebbe ad attribuire un valore ultrattivo alle mansioni superiori, sia per il passato che per il futuro, dal momento che il diritto alla buonuscita si consegue quando la prestazione è cessata. Inoltre, si finirebbe per riconoscere implicitamente che, nella rotazione degli incarichi dirigenziali, possa essere favorito il dipendente che va in quiescenza durante lo svolgimento della reggenza, rispetto a chi ha svolto l’incarico in un momento diverso.

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