Personale

L'assunzione illegittima non produce in automatico il danno erariale

É necessaria la prova concreta, è insufficiente la sola presunzione della violazione di legge

di Pasquale Monea

Il danno erariale nell'ambito delle assunzioni nella pubblica amministrazione richiede la prova concreta: è insufficiente la sola presunzione iuris et de iure della violazione di legge, che in quanto tale non basta per radicare il pregiudizio del quale si chiede il risarcimento. É questa la condivisibile posizione della sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Basilicata nella sentenza n. 36/2020, in ordine a una vicenda che aveva interessato i vertici di un'azienda sanitaria.

Nel caso di specie la decisione «d'infondatezza nel merito» nasce dalla presunta violazione del divieto di conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti che abbiano raggiunto i limiti di età per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici. Divieto «inequivocabilmente posto anche dall'art. 5, comma 9 del D.L. n. 95/2012 convertito in L. n. 135/2012, sia per gli incarichi dirigenziali, sia per quelli direttivi; pertanto, non può essere equivocato il predetto chiaro disposto normativo, stante la sua palese incontrovertibilità». Da questo assunto la pubblica accusa fa discendere l'ipotesi lesiva relativamente al periodo (soli quattro mesi) nel quale il soggetto incaricato non era legittimato a svolgere l'attività retribuita ovviamente escludendo il periodo di servizio svolto a titolo gratuito.

Il Collegio, pur riconoscendo l'illegittimità del conferimento, fa un passo ulteriore rilevando come la la «mera illegittimità dell'atto non comporta di per sé il sorgere di responsabilità erariale, essendo elemento indefettibile per la nascita della stessa l'accertamento in concreto di un danno al patrimonio dell'ente (ex plurimis: Sez. Molise 46/2016)». Il passaggio più interessante della decisione della sezione giurisdizionale lucana è quello che, pur richiamando sezione d'appello della Sicilia n. 60/2017 e quindi quella giurisprudenza contabile formatasi nelle ipotesi di assunzioni o conferimento di incarichi avvenuti in violazione di leggi che impongono contenimento e razionalizzazione della spesa per il personale, o divieti di assunzioni, con il conseguente danno «de iure», non ne condivide l'applicazione al caso di specie. L'elemento argomentativo più rilevante, anche per fattispecie simili o assimilabili, è quello che la sentenza indica quale operazione «logico giuridica tutt'affatto diversa».

La motivazione parte dalla considerazione che, pur operando in una condizione di carenza di legittimazione per intervenuto pensionamento, l'incaricato non era sprovvisto dei necessari requisiti di competenza e professionalità, requisiti richiesti dalla legge per l'esercizio della funzione concretamente perseguita, sulla cui efficienza e congruità la procura nulla ha osservato.

Ha aggiunto il giudice che solo nel caso in cui si fosse «potuta evincere una carenza qualitativa della prestazione lavorativa, ascrivibile ad esempio all'insussistenza di uno specifico requisito (ad esempio, in ipotesi, il possesso di un peculiare titolo di studio ovvero di una diversa ma sostanziale qualificazione soggettiva, tale da inficiare ovvero pregiudicare sul piano operativo ed effettuale la congruità della prestazione rispetto al fine pubblico, tanto da renderla insufficiente, inadeguata o non rispondente ai parametri richiesti dalla legge preventivamente quale condizione legittimante), sarebbe poi stato congruente sul piano giuridico e della individuazione della responsabilità contabile, far discendere l'illiceità della condotta e la sussistenza del danno erariale».

In altri termini il requirente non appare aver adeguatamente contestato l'effettiva utilità conseguita, tanto meno sono stati esposti validi elementi in ordine alla disutilità della prestazione lavorativa che si è realizzata medio tempore, ritenendo che il predetto disvalore fosse in realtà desumibile dalla sola (e invalicabile) presunzione iuris et de iure della violazione di legge e in quanto tale, bastevole per «radicare il pregiudizio di cui ha poi chiesto coerentemente il risarcimento».

La decisione è apprezzabile nelle sue conclusioni logiche e soprattutto perché riprende il concetto per il quale l'azione di responsabilità per danno erariale innanzi alla Corte dei conti non ha per oggetto atti amministrativi, bensì comportamenti che abbiano cagionato un danno all'amministrazione con la conseguenza che il giudice contabile non può limitarsi a recepire l'accertata (o presunta) illegittimità del provvedimento amministrativo occorrendo, invece, vagliare l'intero comportamento e soprattutto il concreto danno all'amministrazione. Se si vuole evitare che il confine della responsabilità amministrativa contabile, da ultimo introdotta a seguito della limitazione grazie al decreto Semplificazioni, prosegua anche dopo lo spazio temporale già legiferato, occorre, forse, limitare le azioni prive di un effettivo riscontro dannoso per le casse erariali con ulteriori costi per l'amministrazione pubblica.

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