Il CommentoFisco e contabilità

La Consulta sull’Imu punta a chiarire cos’è l'abitazione principale

di Gaetano Ragucci (*)

L’ordinanza con la quale la Corte ha sollevato avanti a sé la questione di costituzionalità che ha per oggetto il riferimento alla residenza anagrafica e alla dimora abituale non solo del possessore dell’immobile, ma anche del nucleo familiare, contenuto nel quarto comma dell’articolo 13 del Dl 201/2011 per il riconoscimento dell’agevolazione Imu sull’abitazione principale (si veda Il Sole 24 Ore del 25 marzo), ha riflessi che vanno al di là della fattispecie che l’ha occasionata.

La Ctp di Napoli aveva rimesso alla Corte altra questione, relativa al caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito residenza e dimora in immobili situati in Comuni diversi.

Secondo il diritto vivente, l’agevolazione non spetterebbe (Cassazione 4166 e 4170 del 2020), a differenza dal caso in cui gli immobili siano posti nello stesso Comune, per il quale è invece previsto che spetti almeno per uno di essi (articolo 13 comma 5 Del Dl citato).

Alla Corte era stato perciò chiesto di porre rimedio a una disparità di trattamento non giustificata da una diversa capacità contributiva (che non può sorgere dall’accidentale collocazione dei beni in diversi ambiti territoriali), causa di un illegittimo ostacolo alla scelta delle modalità di realizzazione dell’unità familiare (con sospetta violazione, quindi, degli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione).

Va detto che la questione si pone per il passato, perché pro futuro è stata risolta con una soluzione della “terza via”, diversa da quella tutta negativa adottata dalla giurisprudenza (ma anche dalla soluzione accolta nella circolare n. 3/2012, aperta a una agevolazione multipla), che la concede una volta, indipendentemente dal fatto che gli immobili siano, o non siano, nello stesso Comune (articolo 5-decies del Dl 146/2021).

Nel porsi il problema della coerenza con gli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione della regola che subordina l’agevolazione alla presenza nell’immobile posseduto della residenza e dimora dei componenti del nucleo familiare, la Corte ha ampliato il raggio dell’indagine, che ora investe il regime dell’abitazione principale nel suo complesso.

Nelle sentenze che si sono occupate delle cosiddette “spese costituzionalmente necessitate” la Corte ha infatti distinto tra agevolazioni strutturali e agevolazioni in senso proprio, a seconda che siano coerenti con il presupposto imponibile, oppure vi deroghino. In questa ipotesi ha poi distinto tra deroghe dovute alla prevalenza di interessi costituzionalmente protetti, e deroghe dovute ad altro genere di interessi, stabilendo per queste ultime che il difetto di una copertura costituzionale non le rende illegittime, «salvo quando la finalità extrafiscale non sia in alcun modo riconducibile a motivi attinenti al bene comune, e assuma ... il tratto di un mero privilegio» (Corte costituzionale 120/2020 e 262/2020).

Il tema è dunque la valenza del riferimento al nucleo familiare contenuto nell’articolo 13, comma 4, del Dl 201/2011 che, per come è stato sin qui inteso, è duplice. Può valere come fattore di discriminazione della capacità contributiva del possessore, che delimita il minimo vitale da esentare ex articolo 53 della Costituzione; e può valere come fondamento di una agevolazione diretta a favorire la formazione della famiglia, e l’adempimento dei compiti a essa relativi (articolo 31 della Costituzione). La domanda è se, per conformarsi al vincolo costituzionale, la norma di favore possa soddisfare anche solo il primo requisito, o debba soddisfarli in ogni caso entrambi.

Il quesito non è teorico, perché la legge assimila all’abitazione principale anche fattispecie che non mettono in gioco gli interessi della famiglia (immobili posseduti da personale delle Forze armate e di polizia, o della carriera prefettizia; unità appartenenti a cooperative edilizie a proprietà indivisa, destinate a studenti universitari).

La tenuta di queste regole dipende dalla risposta che vi darà la Corte.