Personale

La prestazione lavorativa resa in base a un contratto viziato all'origine da false dichiarazioni non crea vantaggio per la Pa

La voce di danno deve comprende non solo la retribuzione percepita ma anche l'indebito pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali

di Claudio Carbone

Si incorre in responsabilità amministrativa per l'indebito ottenimento di un contratto di lavoro a seguito di false dichiarazioni. Il danno erariale può essere determinato sulla base della documentazione acquisita nell'ambito delle indagini penali e agli atti del giudizio contabile, ai fini della valutazione autonoma da parte del collegio giudicante, restando impregiudicato il contraddittorio.

Sono queste le conclusioni cui è pervenuta la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana con la sentenza n. 23/2023, dopo aver ha accertato il carattere doloso della condotta manifestata tramite la dichiarazione di fatti positivi – possesso di un titolo di studio e di specifiche esperienze professionali – non corrispondenti al vero, in assenza di alcun margine di errore interpretativo o di mera inesattezza dei dati.

In merito al profilo penale, la richiesta di rinvio a giudizio ha riguardato due capi d'imputazione: falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico), per aver, al fine di commettere il reato di truffa aggravata, attestato falsamente, al pubblico ufficiale, un titolo di studio mai conseguito e titoli di servizio non rispondenti al vero e truffa aggravata a danno dello Stato o di ente pubblico, «per aver, con artifizi e raggiri consistiti nella predetta falsa dichiarazione, indotto in errore il dirigente il quale, basandosi su una graduatoria falsata perché fondata su presupposti mendaci, concludeva un contratto individuale di lavoro con ingiusto profitto del convenuto». Sulla base di questi presupposti, la Procura contabile notificava l'invito a dedurre, contestando il danno patrimoniale che in seguito veniva quantificato per un importo pari al 50% di quello determinato in sede di invito a dedurre.

La Procura regionale, nel dettaglio, ha evidenziato: l'impossibilità di riconoscere la sussistenza di un vantaggio giuridicamente apprezzabile per l'Amministrazione da prestazioni lavorative rese da un dipendente pubblico privo di uno specifico titolo, ritenuto dalla legge indispensabile per lo svolgimento di determinate mansioni professionali; che la responsabilità non doveva essere commisurata all'utile conseguito dal convenuto, ma al danno da lui arrecato all'Amministrazione. Pertanto, la voce di danno deve comprende non solo la retribuzione percepita, ma anche l'indebito pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per un rapporto che è stato illecitamente conferito.

Si è, pertanto, seguito l'orientamento espresso dalle Sezioni Riunite della Corte nella sentenza n. 24/2020, secondo cui «in ipotesi di danno erariale conseguente alla illecita erogazione di emolumenti lato sensu intesi in favore di pubblici dipendenti…, la qualificazione deve essere effettuato al lordo delle ritenute fiscali Irpef operata a titolo di acconto sugli importi liquidati a tale titolo». E invero, la decisione di natura nomofilattica può ritenersi confermativa del precedente orientamento maggioritario non solo per quanto attiene alle trattenute fiscali, ma anche per quelle previdenziali, in quanto i contributi previdenziali ed assistenziali versati dal datore di lavoro non si risolvono in un vantaggio per l'Erario, ma sono destinate all'esclusivo vantaggio del dipendente, assicurandogli le previdenze assistenziali e il futuro trattamento pensionistico (Sezione I Appello, sentenza n. 25/2021).

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