La spending parte (piano): 800 milioni nel 2023 e 1,2 miliardi l’anno dopo
Fissati nel Def gli obiettivi che saranno distribuiti fra i ministeri con Dpcm
Espressamente prevista dal Pnrr e annunciata in Parlamento dal ministro dell’Economia Daniele Franco, la spending review riprova ad accendere i motori. A tracciare la rotta è il Def ora al Parlamento per l’esame che si concluderà il 20 aprile con le risoluzioni.
Gli obiettivi non sono particolarmente ambiziosi. I ministeri sono chiamati a scovare nei propri bilanci 800 milioni il prossimo anno, 1,2 miliardi nel 2024 e 1,5 nel 2025. Non sembrano essere ammesse deroghe. Anche perché la proiezione di finanza pubblica elaborata a Via XX settembre non tiene conto delle «politiche invariate», uscite obbligatorie come quelle per i contatti nel pubblico impiego (servizio a pagina 2) e le missioni internazionali di pace, che dovranno essere finanziate anche con la nuova fase di tagli.
Il conto esatto della revisione della spesa per i singoli ministeri sarà indicato, insieme alle aree di intervento, da un Dpcm su proposta del Mef entro il 31 maggio. La tabella di marcia non potrà essere modificata. Anche perché è stabilita dal Pnrr, che ha inserito il rafforzamento della spending tra le riforme abilitanti.
Il primo passo è stato compiuto a fine 2021 con la nascita alla Ragioneria generale del «Comitato scientifico per le attività inerenti alla revisione della spesa», previsto dal Dl 152/21. Prima della fine di giugno dovranno essere fissati i target dei risparmio per le Pa centrali. Ed entro l’anno dovrà essere adottata dal governo una relazione sull’efficacia delle pratiche utilizzate dai ministeri per valutare l’attuazione dei piani di «ottimizzazione» della spesa.
Una griglia così rigida dovrebbe consentire a questo tentativo di avere maggiore fortuna di alcune delle esperienze degli ultimi 15 anni, in cui la revisione della spesa è stata accompagnata da qualche luce ma anche da molte ombre. Già nel 2007, all’epoca del Prodi-bis con Tommaso Padoa-Schioppa alla guida del Mef, ministero dell’Economia, erano state sottolineate la necessità di un’analisi puntuale dei meccanismi che incidono sull’andamento della spesa pubblica e l’esigenza di individuare interventi mirati al suo contenimento abbandonando l’antico schema dei tagli lineari. Da quel momento si sono susseguiti vari interventi, più o meno fortunati, e anche alcuni commissari: da Carlo Cottarelli a Yoram Gutgeld passando per Enrico Bondi.
In ordine cronologico, gli ultimi tentativi di un certo peso sono quelli inseriti nella legge di bilancio per il 2020, con l’accantonamento di risorse per un miliardo dai budget ministeri , a “garanzia” dei risparmi attesi da varie misure, e dalla manovra per il 2021 con cui è stato chiesto un contributo diretto agli enti territoriali. Ora il governo Draghi ci riprova. E, se il risultato sarà positivo non è da escludere un rafforzamento ulteriore del piano. Anche perché tra le destinazioni possibili per i risparmi da spending c’è la riforma fiscale su cui la maggioranza sta traballando in questi giorni anche per l’assenza di coperture che permetterebbero di prevedere tagli al peso delle tasse.