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Terzo settore, sedi e locali in deroga alla destinazione d'uso edilizio dell'immobile

di Agostino Sola

In considerazione della meritevolezza delle finalità perseguite dalle associazioni di promozione sociale, le sedi e i locali adibiti all'attività sociale possono essere localizzati in tutte le parti del territorio urbano e in qualunque fabbricato a prescindere dalla destinazione d'uso edilizio ad esso impressa specificamente e funzionalmente dal titolo abilitativo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 giugno 2020, sentenza n. 3803.

La vicenda
Un’associazione a carattere religioso e socioculturale prendeva in locazione un locale ad uso commerciale ubicato e vi esercitava, senza esecuzione di opere, attività coerenti con i propri scopi statutari di promozione sociale e culturale a carattere religioso. Il Comune riteneva che l’esercizio di attività di natura religiosa in locali a destinazione commerciale integrasse un cambio di destinazione d’uso senza opere da attività commerciale a attività culturale – religiosa in assenza del prescritto titolo edilizio. Veniva diffidata, dunque, l’associazione a conformare l’immobile alle norme urbanistiche, regolamentari e edilizie ovvero al ripristino della destinazione d’uso dei locali ad attività commerciale.
Veniva proposto ricorso innanzi al Tar Veneto che, però, lo respingeva.
L’associazione proponeva appello innanzi al Consiglio di Stato. Al termine del giudizio di appello veniva riconosciuta la fondatezza delle pretese dell’associazione ricorrente e, per l’effetto, annullato il provvedimento impugnato.

La modifica di destinazione d’uso e gli enti del Terzo settore
In via preliminare si ricordi come l’articolo 23ter Dpr n. 380/2001 individua i mutamenti nella destinazione d'uso di un immobile da ritenere urbanisticamente rilevanti e che pertanto necessitano di uno specifico titolo abilitativo edilizio. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, anche se non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati a una diversa categoria funzionale tra quelle "residenziale", "turistico-ricettiva", "produttiva e direzionale", "commerciale" e "rurale".
La destinazione d’uso di un immobile è, quindi, la classificazione che ad esso viene attribuita per indicarne la funzione definita dal titolo abilitativo sulla base dalle norme urbanistiche. L’utilizzo di un immobile per una funzione diversa rispetto a quella indicata nel titolo edilizio è illegittimo.
Nel caso all’attenzione della sentenza in commento si ha che la destinazione d’uso dell’immobile, determinata dal suo utilizzo in concreto, è stata modificata da “commerciale” allo svolgimento di attività di promozione socioculturale a carattere religioso.
La questione giuridica rilevante è, dunque, l’individuazione del contesto normativo applicabile alla modifica di destinazione d’uso per lo svolgimento di attività di promozione socioculturale a carattere associativo e senza scopo di lucro, ovvero se sia necessario il rilascio di apposito titolo edilizio.
Prima dell’entrata in vigore del Dlgs n. 117/2017 (Codice del Terzo settore), già l’articolo 32, comma 4, legge n. 383/2000 prevedeva che la compatibilità della sede e dei locali delle associazioni di promozione sociale con tutte le destinazioni d'uso, indipendentemente dalla destinazione urbanistica. Detta disposizione è stata poi trasposta nell’analoga formulazione dell’articolo 71, comma 1, Dlgs n. 117/2017.
Attualmente, allora, le sedi ed i locali dove le associazioni di promozione sociale – ora enti del Terzo settore – svolgono le proprie attività statutarie, purché non di tipo produttivo, possono essere localizzate in qualsiasi zona urbana ed in qualsiasi fabbricato, a prescindere dalla destinazione d'uso edilizio ad esso impressa specificamente e funzionalmente dal titolo abilitativo.
Dal contesto giuridico applicabile, allora, si evince che, attesa la compatibilità con ogni destinazione d’uso edilizio, risulta urbanisticamente irrilevante la destinazione d’uso dell’immobile per lo svolgimento di attività di promozione socioculturale a carattere religioso perché, di fatto, non ha comportato il passaggio da una ad altra delle categorie funzionali indicate dall’art. 23ter Dpr n. 380/2001.
Al Comune, tuttavia, indipendentemente dal passaggio tra categorie funzionali, residua la possibilità di sanzionare il mutamento di destinazione d’uso qualora dia luogo ad una cosiddetta variazione essenziale sanzionabile, intesa quale modifica in peius degli standards urbanistici previsti (Dm n. 1444/1968), ossia dei carichi urbanistici relativi a ciascuna delle categorie urbanistiche. Nel caso di specie, tuttavia, non vi erano elementi tali da far desumere un aumento del carico urbanistico della zona.
Il contesto giuridico di riferimento, ancora, non esonera dall'obbligo di richiedere e ottenere un conforme titolo edilizio per l’esecuzione di opere di trasformazione né priva l’Amministrazione del potere di verificare la compatibilità del mutamento di destinazione d'uso di un immobile con le disposizioni urbanistiche locali, oltre che con le condizioni di sicurezza, igiene e salubrità.

In conclusione
L’unica deroga che subisce la disciplina urbanistica-edilizia con riferimento agli enti del Terzo settore deve essere individuata nell’impossibilità di applicare l’art. 23ter Dpr n. 380/2001 atteso che, ai sensi dell’articolo 71, comma 1, Dlgs n. 117/2017, le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.

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