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Lo Stato può imporre un vincolo paesaggistico anche contro la volontà della Regione

In questi termini la Corte costituzionale ha risolto il conflitto di attribuzioni promosso dalla Regione Veneto

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di Pietro Verna

Il potere del ministero per i Beni culturali di imporre il vincolo paesaggistico in base all'articolo 138, comma 3, del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) è autonomo rispetto alla potestà delle Regioni di individuare beni paesaggistici o aree aventi le caratteristiche di notevole interesse pubblico. Il vincolo, infatti, «non si sovrappone alla disciplina urbanistica ed edilizia di competenza regionale e locale, ma piuttosto specifica se e in quale misura quest'ultima possa esercitarsi, in forma compatibile con la vocazione alla conservazione del pregio paesaggistico propria dell'immobile o dell'area vincolata».

In questi termini la Corte costituzionale (sentenza 22 luglio 2021 n. 164) ha risolto il conflitto di attribuzioni promosso dalla Regione Veneto nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo 5 dicembre 2019 n. 1676 (Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area alpina compresa tra il Comelico e la Val d'Ansiei, Comuni di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolò di Comelico e Comelico Superiore».

L'articolo 138 del codice dei beni culurali e del paesaggio (Avvio del procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico) stabilisce che: (i) le commissioni provinciali di cui all'articolo 137 «propongono alla regione» l'adozione dichiarazione di notevole interesse pubblico ( comma 1); (ii) «la commissione decide se dare ulteriore seguito all'atto di iniziativa entro sessanta giorni dalla data di presentazione dell'atto medesimo. Decorso infruttuosamente il predetto termine, entro i successivi trenta giorni il componente della commissione [che] ha assunto l'iniziativa può formulare la proposta di dichiarazione direttamente alla regione» ( comma 2); (iii) «è fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata [di] dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136» (comma 3)

I difensori della Regione avevano sostenuto che il decreto ministeriale «avrebbe menomato le attribuzioni costituzionali regionali attinenti allo sviluppo urbanistico e alla fruizione dell'ambiente», che ciò sarebbe avvenuto «in difetto di un rischio concreto di lesione dell'interesse paesaggistico» e in violazione del principio di elaborazione congiunta tra Stato e Regione del piano paesaggistico. Tesi che non ha colto nel segno. I giudici dell'Alta Corte hanno ribadito l'orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui:
•la tutela ambientale e paesaggistica, attribuita allo Stato dall' articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, «costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali» ( sentenza 7 n. 367 del 2007; in seguito, nello stesso senso, sentenze n. 66 del 2018, n. 11 del 2016 e n. 309 del 2011). Motivo per il quale «è necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo Stato [la] disciplina e l'esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale» (sentenza n. 140 del 2015);
•l piano paesaggistico regionale deve recepire «alla lettera» le scelte di tutela paesaggistica, altrimenti potrebbe divenire l'occasione per ridurre lo standard di tutela dell'ambiente in forza di interessi divergenti, anziché la sede deputata a collocare armonicamente siffatti interessi nella cornice della conservazione del paesaggio ( sentenza n. 437 del 2008). Da qui il principio sancito dalla pronuncia in narrativa: l'articolo 138, comma 3, del Codice «riflette l'esercizio di una competenza costituzionale propria dello Stato, che quest'ultimo […] può esercitare senza alcun condizionamento legato a fattori temporali o contingenti, ovvero alla sfera di competenza regionale». Il che implica che «l'autorità statale può autonomamente rinvenire in un bene le caratteristiche che lo rendono meritevole di tutela, anche se la Regione nel cui territorio il bene si trova dovesse essere di contrario avviso».

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