Il CommentoAmministratori

Mezzogiorno, la strategia possibile degli enti territoriali chiamati a svolgere autenticamente il loro ruolo

di Ettore Jorio

Si dà al Covid la responsabilità maggiore per celare le inadempienze strutturali di un Paese oramai sfaldato dagli esodi dei poveri domestici. L'epidemia è tutt'al più una concausa di un processo remoto, divenuto quasi strutturale per una serie di colpe in eligendo, quindi legate alle cattive scelte elettorali. Il federalismo fiscale con il suo «vedo, pago, voto» potrebbe essere l'antidoto.

É attrazione fatale
Un Nord che il Mezzogiorno invidia per i servizi pubblici che offre, sanità in primis. Che attrae i suoi figli perché non immaginano altrove un futuro degno di questo nome. Che convince naturalmente i genitori a raggiungerli per potersi godere i nipoti. Questi ultimi non più neanche attratti da quel mare che non riesce ad essere indenne dall'invasione dei coliformi fecali che lo popolano. Per non parlare delle imprese impossibili ad esercitarsi e da una malavita che opprime oramai tutte le famiglie.
Da qui, ciò che emerge dai dati pubblicati che dividono le province regine di "incassi" demografici e quelle destinate allo spopolamento progressivo. Alla solitudine sociale dei loro abitanti più resistenti.
Crotone la peggio, nonostante ricca dei fondamentali che la consegnerebbero al successo di pubblico e di economia, con altre due calabresi Vibo Valentia (con il suo prezioso mare) e Reggio Calabria, a due e tre lunghezze, intermezzate da Caltanisetta e seguite da Potenza. Trieste la migliore, seguita da Piacenza, Bologna, Pavia e Ferrara. E' la solita musica, con le città medie del nord che vincono sulle città metropolitane.

I motivi sono fin troppo evidenti
Comprendere i perché di tutto questo è fin troppo facile, specie per chi vive a quelle latitudini della vergogna. Lo sforzo dovrebbe essere quello di partire dalle cause per elaborare il progetto di ripopolamento spontaneo. Spontaneamente attrattivo, non come si faceva un tempo con la selvaggina da dare poi in pasto ai cacciatori, bensì per trasformare un luogo indigesto, popolato da persone ospitali più di ovunque ma viziato da paure, da assenza di opportunità occupazionali, da una pubblica amministrazione che, per dirla alla Gaber, neppure in Uganda. Insomma, un Mezzogiorno, con la Calabria da primato negativo, da rifondare nei suoi presupposti sociali di base, quelli sui quali fondare il successo o meno delle condizioni di vita per la società civile e per l'imprenditoria. Con Regioni e Comuni da rivoltare come si faceva con i cappotti in tempo di guerra.

La collezione dei gap
A proposito di guerra, qui la si vive da decenni. Con la lontananza, mantenuta dolosamente tale da rappresentanti della politica mai efficaci nell'attenuarla, dai centri decisionali nazionali, imbrogliati sulle reali necessità cui occorreva dare rimedio. L'esempio calabrese delle "vacche di Fanfani", trasportate da un luogo all'altro con i camion per moltiplicarne il numero. Non solo. I focus, esclusivi sulle bellezze altrove introvabili non reggono più. Distraggono i decisori dalle iniziative generative di ricchezza e occupazione di competenza rimediale della politica, quasi sempre inconcludente. Per non parlare delle gestioni della res pubblica, soprattutto regionale, esercitata quasi esclusivamente in via amministrativa, destinata alle piccole cose, piuttosto che dedicata alla programmazione delle grandi cose che determinano, nel tempo, i cambiamenti reali. E ancora. Poco e male il compito di legislazione regionale, svolto con manufatti scritti male, spesso non aderenti alla Costituzione, e ricchi di "leggi provvedimenti" interdetti dall'ordinamento. E poi ancora, un controllo inadeguato sull'operato della dirigenza, destinataria di favorevoli disattenzioni nei processi di verifica e di prebende premiali, di frequente, inconcepibili.
I Comuni? Dipende da quali, ancorché nella moltitudine sono ben attrezzati (si fa per dire!) di dissesti nei cassetti e di procedure pluriennali di risanamento appese ai balconi ad asciugare. Quanto alla ricaduta amministrativa, sono stati sotto gli occhi di tutti i disservizi essenziali e le disattenzioni nei confronti di quella creatività, a volte necessaria per superare la crisi delle istituzioni locali con la voglia di riportarle a ciò che erano sotto le mani di amministratori con l'occhio lungo. Insomma, spiegata l'alluvione di abbandoni delle terre natìe.

La strategia possibile
Più difficile il cosa fare. Soprattutto occorre non continuare quanto accennato. Per farlo, gli enti territoriali sono chiamati a svolgere autenticamente il loro ruolo: buone leggi regionali, specie se testunicizzate; una programmazione studiata bene e scritta meglio; scelte fondate sulla meritocrazia reale; attenzione alla spesa con più cura di come si fa nelle case; progetti stressati al massimo per assicurare occupazione e lavoro meritevole; pianificazione degli interventi di attrazione assistita da "guide" capaci e sovvenzionata per turismo generalizzato e insediamenti produttivi. E poi, tanta pulizia, intendendo per tale riportare la natura alle origini: mare cristallino; monti attrezzati di tutto punto; colline accoglienti e borghi ricchi di ospitalità anche rumorosa; trasporti, in specie locali, degni di questo nome.
Per realizzare ciò che è più urgente, necessita da subito cambiare il solito riferimento ancorato al sogno irrealizzabile: da una parte pensare al cambiamento possibile, con i tempi necessari; dall'altra (per dirla alla Falcone), ritenere come beneficiaria diretta delle politiche innovative «una vedova con lo sfratto esecutivo, con 500 euro di pensione al mese e quattro figli piccoli, di cui uno disabile».