Personale

Mobilità, Cassazione e Aran divise sullo stop di 24 mesi alle progressioni

Per i giudici legittima la clausola contrattuale integrativa che non tiene conto dell'anzianità

di Gianluca Bertagna e Salvatore Cicala

Non è in contrasto con il contratto nazionale la disciplina contrattuale integrativa che esclude la partecipazione alla selezione per l'attribuzione delle progressioni economiche orizzontali, per difetto del requisito minimo di permanenza nella categoria inferiore, del dipendente di altro comparto di contrattazione che transita per mobilità volontaria in un ente locale. È questa la conclusione cui giunge la Corte di cassazione, sezione Lavoro, con l'ordinanza n. 15589/2022.

Il fatto
La contrattazione integrativa di un ente locale ha previsto, quale requisito di ammissibilità alla procedura per l'attribuzione delle progressioni economiche all'interno delle categorie, la permanenza nella posizione in godimento per tre anni nel comparto degli enti locali. Un dipendente del comparto Sanità, transitato appena due anni prima nel Comune a seguito di mobilità volontaria, ha agito in giudizio nei confronti di quest'ultimo lamentando di essere stato escluso dalla selezione per l'attribuzione delle progressioni economiche orizzontali in ragione della carenza del requisito.
Il dipendente ha ritenuto il comportamento della propria amministrazione illegittimo sia in quanto il contratto nazionale (all'epoca dei fatti il contratto dell'11 aprile 2008, oggi l'istituto è regolato dall'articolo 16 del contratto del 21 maggio 2018) prevede per la partecipazione alla selezione per l'attribuzione delle progressioni economiche orizzontali un requisito minimo di permanenza pari a ventiquattro mesi (e non pari a trentasei come previsto nel contratto integrativo) sia perché il ricorrente era comunque in possesso anche del requisito stabilito nel contratto integrativo decentrato, poiché, con la mobilità, era da ritenersi trasferita per intero la posizione giuridica ed economica già goduta presso l'amministrazione di provenienza. Di diverso avviso, invece, il datore di lavoro. Di fronte a prese di posizioni contrapposte, il lavoratore ha adito l'autorità giudiziaria. La Corte di appello, confermando la decisione del giudice di primo grado, ha ritenuto di accogliere la posizione dell'ente; così il ricorrente ha promosso ricorso in Cassazione.

La decisione
La Cassazione offre una ricostruzione dell'orientamento giurisprudenziale in materia, precisando che le disposizioni normative e contrattuali finalizzate a garantire il mantenimento del trattamento economico e normativo acquisito non implicano la totale parificazione del lavoratore trasferito ai dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione, perché la prosecuzione giuridica del rapporto se, da un lato, rende operante il divieto di reformatio in peius, dall'altro non fa venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore di lavoro, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore.
Sulla questione all'esame, la stessa Corte ha già specificamente affermato che la disciplina sul diritto del lavoratore a conservare l'anzianità maturata presso altro Comune al fine di ottenere la progressione economica nell'ambito della stessa categoria di inquadramento, è rimessa, dal contratto collettivo nazionale alla contrattazione decentrata, al fine di salvaguardare la specificità delle situazioni presenti nei singoli enti.
Si legge nell'ordinanza che non è, peraltro, di ostacolo all'applicazione della contrattazione integrativa decentrata l'articolo 9 del contratto 11 aprile 2008 (ventiquattro mesi di permanenza nella posizione economica in godimento), dovendosi ritenere, anche alla luce dei principi richiamati, che essa ponga un requisito minimo di permanenza nella posizione economica in godimento ma non escluda l'introduzione di requisiti ulteriori o più stringenti che meglio rispondano alla situazione concreta e all'interesse del singolo ente locale.
Con le argomentazioni sopra evidenziate, la Cassazione ha rigettato il ricorso promosso dal dipendente, con condanna, altresì, di quest'ultimo al pagamento delle spese di lite.

I pareri dell'Aran
Una diversa chiave di lettura è stata fornita, invece, dai tecnici dell'Aran con alcuni pareri. Per l'Agenzia (parere CFL100) il presupposto del periodo minimo di 24 mesi di permanenza nella posizione economica in godimento non può in nessun caso essere modificato, in aumento o in diminuzione, in sede di contrattazione integrativa, atteso che in materia non può ravvisarsi alcuna delega negoziale del contratto nazionale alla contrattazione di secondo livello. Si afferma poi (parere CFL123) che la disciplina generale dell'istituto della mobilità (secondo cui il rapporto di lavoro del dipendente, instaurato originariamente presso l'ente di provenienza, prosegue senza soluzione di continuità presso l'ente di destinazione con gli stessi contenuti e caratteristiche e con la garanzia anche del mantenimento del trattamento giuridico ed economico già in godimento), consente di tener conto anche del periodo di permanenza maturato dal dipendente nella posizione economica acquisita presso l'ente di provenienza ai fini del computo dei 24 mesi di permanenza nella posizione economica in godimento.

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