Personale

Pa: aumenti top da 2mila euro ai magistrati, meno di 400 euro ai dipendenti ordinari

Una tantum da record ai dirigenti di vertice delle Autorità indipendenti

di Gianni Trovati

L’aumento una tantum previsto per i dipendenti pubblici dalla legge di bilancio offre i propri frutti più ricchi ai dirigenti delle Autorità indipendenti e ai magistrati. Le due categorie vedranno in media crescere la busta paga rispettivamente di 1.980 e 1.812 euro lordi, che corrispondono a 152,3 e 139,4 euro al mese. Un po’ più in giù nella classifica della generosità del bonus in valore assoluto arrivano i dirigenti di vertice della presidenza del Consiglio, che con 976,5 euro annui (75,1 euro al mese) staccano di poco i loro colleghi delle altre Pa centrali. Per il grosso dei dipendenti pubblici, che sono privi di stellette dirigenziali, l’aumento determinato dal meccanismo scritto in manovra oscilla fra i 27,8 euro lordi al mese nella media dei ministeriali ai 32,6 euro degli insegnanti. Anche qui con un’eccezione importante rappresentata dalle Authority: dove per il personale non dirigente la novità della manovra vale mediamente 83,9 euro al mese.

Le cifre nascono dal meccanismo lineare scritto in manovra, che spalma le risorse (un miliardo, più 800 milioni circa che andranno messi da enti territoriali, sanità e università) per ottenere un incremento «nella misura dell’1,5% dello stipendio». Un sistema del genere com’è ovvio produce valori maggiori quando gli stipendi sono più alti. I dirigenti, che medici compresi sono poco meno del 5% dei dipendenti pubblici, hanno quindi un incremento monetario più alto. Ma i dati ovvi finiscono qui. Perché nella pubblica amministrazione «stipendio» e «retribuzione» non sono sinonimi, soprattutto sugli scalini più alti della gerarchia. Nel trattamento economico dei dirigenti pubblici le «voci stipendiali» sono la base su cui poi si innestano la «retribuzione di posizione», che in generale remunera le responsabilità connesse all'incarico, e la «retribuzione di risultato», che in teoria dovrebbe premiare i risultati raggiunti dall’ufficio di cui il dirigente è al vertice.

L’una tantum, per com’è scritta nella legge di bilancio e per com’è logico vista la natura delle voci aggiuntive della retribuzione, si calcolerebbe solo sulla base stipendiale. Per cui dove la base è più ampia, l’aumento è più consistente.

Questo spiega il primato assoluto di Autorità indipendenti e magistrature. Perché lì le voci collegate a posizione e risultato, con la loro variabilità almeno teorica, non esistono, e gli importi sono tutti messi al sicuro sotto l’etichetta delle voci stipendiali. Nella sua traduzione retributiva, insomma, l’indipendenza, paga. Per un dirigente apicale di un’Authority, spiegano le tabelle dell’Aran elaborate sui dati della Ragioneria generale dello Stato, le «voci stipendiali» valgono mediamente 132mila euro all’anno, cioè l’80% dei 166mila euro di trattamento economico complessivo. Per i colleghi dei ministeri la busta paga annuale è più alta, 193.772 euro medi in prima fascia, ma lo stipendio fisso si ferma a 64.271 euro, il 33% del totale. Ecco perché l’aumento stipendiale dell’1,5% porta nelle Authority 1.980 euro nel 2023 contro i 964 euro dei vertici ministeriali. Ma la forbice si fa ancora più alta fuori dalle stanze dirigenziali, perché il dipendente medio di un’Autorità indipendente ha uno stipendio da 72.697 euro all’anno, il triplo abbondante di quello riconosciuto a chi lavora in un ministero o un ente locale. L’autonomia fa il paio con retribuzioni stabili anche nel caso dei magistrati, per i quali le voci stipendiali raggiungono in media l’87% della busta paga totale cumulando 120.812 euro su 137.697. I valori in gioco si alzano ancora nel caso della magistratura amministrativa, dove lo stipendio medio è 150.853 euro (e la retribuzione totale viaggia a 173.828 euro) e l’una tantum vale quindi 2.262 euro.

Sono numeri ovviamente lontanissimi da quelli medi dei dipendenti pubblici ordinari, dove lo stipendio medio varia dai 24mila ai 28mila euro lordi all’anno a seconda del comparto e dove quindi la manovra porta raramente più di 400 euro lordi (30 euro al mese). Con un aumento, per di più, pensato come una tantum dal governo in attesa di un rinnovo contrattuale tutto da costruire: ma è difficile immaginare che a fine 2023, con i contratti scaduti nel 2021, questo “emolumento accessorio” straordinario possa davvero uscire di scena senza scatenare proteste.

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