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Pa, dal welfare aziendale una spinta al nuovo lavoro

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di Antonio Naddeo (*)

Sono sempre più convinto che un ruolo importante nella futura contrattazione nel pubblico sarà svolto dal welfare integrativo.

Un passo importante in questo senso è stato fatto con il «Patto per l'innovazione del lavoro pubblico e della coesione sociale» sottoscritto da Governo e sindacati nel 2021, che ha previsto l’esigenza di sviluppare forme di welfare contrattuale nel pubblico impiego con particolare attenzione al sostegno alla genitorialità, espandendo anche a questo settore le agevolazioni previste nel privato, alla previdenza complementare e a sistemi di premialità con un un rinnovato incentivo allo smartworking.

Ma cosa è il welfare aziendale? Si tratta di un insieme di benefit e prestazioni non monetarie erogate a favore dei dipendenti, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita e il benessere dei lavoratori e dei loro familiari.

Agisce sul potere d’acquisto delle famiglie senza aumentare il loro reddito imponibile e il peso dell’Erario sul datore di lavoro. Nella Pa è ancora poco utilizzato anche se in realtà una ventina di anni fa con i Cral lo strumento del welfare era molto diffuso. Poi i vari interventi di spending review ne hanno di fatto limitato gli effetti positivi.

Il welfare aziendale è uno strumento prezioso per migliorare il clima lavorativo e il benessere dei dipendenti e può costituire un’integrazione degli strumenti contrattuali, soprattutto in un periodo in cui le risorse finanziarie per i rinnovi contrattuali scarseggiano. Può anche essere uno degli incentivi per attrarre i giovani e trattenerli facendo leva su istituti che concilino il lavoro con la vita privata (Smart Working). È un valido strumento per l’innovazione dell’organizzazione del lavoro nelle Pa.

Quanto si spende nelle Pubbliche amministrazioni per il benessere organizzativo? L'ultimo dato a disposizione è quello del conto annuale della Rgs che per la voce «Benessere del personale» del 2020 riporta 196 milioni, lo 0,11% della massa salariale complessiva.

Forse la voce non comprende altre spese inerenti al welfare aziendale, ma la percentuale resta molto bassa.

Gli interventi di welfare aziendali possono essere svariati: sanitari, con l’offerta di servizi e polizze aziendali; conciliazione famiglia-lavoro, tramite vari servizi come borse di studio per i figli, baby sitter, asili nido o assistenza per famigliari anziani; mobilità, con l’organizzazione di servizi di trasporto per i lavoratori per supplire alle carenze dei trasporti pubblici. La lista è lunghissima.

Il welfare aziendale potrebbe essere un fattore da considerare nei contratti nazionali e, a cascata, negli integrativi, con benefici sia per le Pa sia per i lavoratori e con un costo complessivo ridotto rispetto a un aumento contrattuale. La proposta può essere di stanziare specifiche risorse finanziarie nei rinnovi contrattuali destinate al welfare, affiancandole a quelle degli incrementi stipendiali.

I lavoratori, oltre ai benefici retributivi, potranno valutare l’ambiente di lavoro nel suo complesso, in termini sia di opportunità di crescita sia di flessibilità offerta negli orari e luoghi di lavoro e di conciliazione tra esigenze personali e professionali. Le amministrazioni potrebbero avere tra le mani un’ulteriore leva, a un costo inferiore, per migliorare la vita dei lavoratori (e contribuire al rilancio delle politiche del personale) con conseguenti benefici sulle attività.