Pagamenti Pa/1. Con i ritardi «incorporati» nel contratto si parte da 150 giorni
Si è consolidata la situazione paradossale che vede la contrattualizzazione dei ritardi e l'allungamento dei tempi fra l'esecuzione del lavoro e il pagamento della fattura
La violazione sistematica da parte delle stazioni appaltanti italiane delle direttive Ue che impongono di pagare gli appaltatori in trenta giorni, prorogabili al massimo a sessanta, è stata sancita dalla storica sentenza della Corte di giustizia Ue del 28 gennaio scorso. E una risposta del governo italiano deve ancora arrivare perché non bastano i 12 miliardi previsti nel decreto Rilancio per alleggerire gli arretrati. Non c'è una risposta tranchante sul rispetto dei termini di pagamento previsti dalla Ue, sulla trasformazione in termini perentori che portano a sanzioni e interessi effettivi in casi di ritardo. Qualcosa potrebbe essere inserito nel decreto legge semplificazioni che il governo varerà entro un paio di settimane, ma intanto si è consolidata nel Paese una situazione paradossale che addirittura arriva a contrattualizzare i ritardi e l'allungamento dei tempi fra l'esecuzione del lavoro e il pagamento della fattura.
Qui non è solo un problema di maglie nere più volte denunciate dall'associazione nazionale dei costruttori: esempi come l'azienda di gestione degli acquedotti regionali calabresi Sorical, che paga comodamente a dodici mesi (ci sono fatture non pagate dell'estate 2019, denuncia Ance) o il Comune di Reggio Calabria che addirittura arriva a pagare in quindici mesi (anche qui fatture ferme ad aprile 2019). Qui il problema è generalizzato e tocca anche le punte avanzate del Paese (o che tali dovrebbero essere). Prendiamo Rfi, la società delle Fs che gestisce la rete ferroviaria. Dai documenti contrattuali («Condizioni generali di contratto») che la società utilizza per gli appalti si deduce che il termine imposto agli appaltatori prevede un pagamento non prima di 150 giorni dall'esecuzione del lavoro.
Questo grazie all'introduzione di alcuni atti intermedi e momenti aggiuntivi fra la fine del lavoro e il pagamento che la direttiva Ue non prevede. Si allunga la catena burocratica, tecnica, amministrativa per ottenere il pagamento. Questo, sia chiaro, succede in tutta Italia, amministrazioni grandi e piccole.Vediamo come funziona. Un'impresa finisce un lavoro (ipotizziamo per comodità che questo avvenga il 31 dicembre). L'articolo 9.3 del contratto tipo prevede a questo punto un primo termine di 31 giorni (31 gennaio) per avviare la procedura che in gergo si chiama «salizzazione», cioè l'emissione del Sal (stato avanzamento lavori) con cui viene certificato il lavoro svolto e la somma dovuta. Ma questa procedura potrà completarsi, secondo l'articolo 44.4, soltanto 45 giorni dopo (17 marzo) con l'emissione del documento di «entrata merci» che la stazione appaltante rilascia in copia all'appaltatore.
Una volta emesso il Sal l'appaltatore può emettere la fattura cui deve allegare il documento di entrata merci mentre il pagamento «ha luogo alla fine del secondo mese successivo alla data di emissione fattura» (articolo 45.3). Da marzo rimbalziamo a fine maggio, altri 74-75 giorni che portano il totale a 150 giorni, cinque mesi. Tutto questo per contratto e senza contare neanche un giorno di ritardo - che potrebbe ovviamente esserci - rispetto alle previsioni per il pagamento della fattura.L'esempio si limita a descrivere una situazione specifica che però dilaga in tutta Italia. Come se fossimo ancora prigionieri dei tempi in cui rallentare i pagamenti (magari per problemi di cassa), rinviare le scadenze o semplicemente non rispettarle era la norma. E continuerà a essere la norma se non arriverà un colpo d'ala post-Covid.