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Partecipate, niente obblighi se il debito è sostenibile

L'Osservatorio enti pubblici e società partecipate, istituito presso il Cndcec, ha elaborato un documento che scioglie alcuni dubbi interpretativi sulle norme speciali del Tups in materia di crisi

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di Elbano De Nuccio* e Davide Di Russo**

L'Osservatorio enti pubblici e società partecipate, istituito nel marzo 2023 come ufficio di diretta collaborazione della Presidenza del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, ha elaborato un documento che affronta alcune questioni relative alle norme speciali che il Tusp (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica – d.lgs. 175/2019) detta in tema di crisi, e approfondisce l'interazione di tali disposizioni speciali con la disciplina generale del Ccii (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza – d.lgs. 14/2019), pervenendo alla ricostruzione di un quadro comune.

Constatato il rapporto di specie a genere che lega Tusp e Ccii, e assodato di conseguenza che gli elementi non disciplinati dal primo devono essere ricavati dal secondo, si giunge – estendendo alle società del Tusp la nozione di crisi oggi definita dall'art. 2, co. 1, lett. a) del Ccii– alla conclusione per cui nelle società a controllo pubblico (destinatarie della disciplina speciale di cui agli artt. 6, co. 2 e 14, co. 2 e ss. del Tusp) il Programma di valutazione del rischio di crisi aziendale è suscettibile di integrare quell'assetto adeguato che l'art. 2086 c.c. richiede per tutte le società. Il Programma prescritto dall'art. 6, co. 2 del Tusp, quindi, è lo strumento organizzativo con il quale la società a controllo pubblico struttura e regola il monitoraggio del rischio di crisi (vale a dire la probabilità che la società venga a trovarsi nello stato così definito dal Ccii), a partire dalla matrice comune ricostruita alla luce dell'art. 3, co. 3 e 4 del Ccii, e salva l'opportunità (la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità dell'organo amministrativo) di introdurre elementi di "specificità" alla luce delle peculiarità della singola realtà societaria.

Nel contempo, rilevato che la nozione di crisi (a differenza di quel che si registrava nelle versioni anteriori del Ccii) è oggi ancorata a un unico indicatore, oggettivo e prospetticamente determinato (vale a dire la non sostenibilità del debito a dodici mesi, in luogo dell'originario rinvio alla pluralità di indicatori e indici di cui alla prima stesura dell'art. 13 del Ccii) si deduce che è solo con l'integrazione (o emersione, per usare il linguaggio del Tusp) di tale indicatore, e quindi solo al ricorrere di uno stato di crisi nel senso definito dall'art. 2, co. 1, lett. a) del Ccii, che nelle società a controllo pubblico sorge l'obbligo di adottare "senza indugio i provvedimenti necessari al fine di prevenire l'aggravamento della crisi, di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause" (art. 14, co. 2 del Tusp).

Il che, del resto, risulta del tutto in linea con quel che è previsto per tutte le società in generale (ivi incluse quelle a partecipazione pubblica ma non controllate da amministrazioni pubbliche) ove solo qualora si rilevi uno stato di crisi sorge l'obbligo di "assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte" (art. 3, co. 1, del Ccii); e si coordina con la Direttiva Insolvency, che fissa il principio di proporzionalità tra stato di difficoltà del debitore e strumento per rimediarvi.Per contro, in presenza di un mero rischio di crisi (quand'anche la crisi risulti il più probabile degli eventi possibili) non è configurabile alcun comportamento doveroso (né automatiche sanzioni in caso di inerzia o omissione) bensì unicamente buone prassi, vale a dire – nel quadro della discrezionalità manageriale (sindacabile alla luce della business judgment rule) – iniziative volte a mitigare il rischio di crisi (e pertanto a ridurre la probabilità che la crisi emerga).

Il documento offre anche una lettura unitaria delle fattispecie, non sempre di immediata comprensione, contemplate dall'art. 14 del Tusp.In particolare, si evidenzia che il "piano di risanamento" ex co. 2, il "piano di ristrutturazione" ex co. 4 e il "piano di risanamento" ex co. 5 consistono, nella prospettiva del Tusp, nel medesimo dispositivo; il quale, tra l'altro, ben si presta a integrare il piano la cui predisposizione è richiesta dal Ccii in funzione dell'accesso agli strumenti di composizione della crisi.

Il co. 2 è la norma base che fissa il principio secondo cui, in risposta alla rilevazione della crisi, la società a controllo pubblico deve adottare un generico piano di risanamento, suscettibile in quanto tale di operare in funzione dello strumento di composizione della crisi, eventualmente selezionato quale "provvedimento necessario" al fine di prevenire l'aggravamento della crisi, correggerne gli effetti ed eliminarne le cause. Il co. 4 e il co. 5, non prescrivono l'adozione di dispositivi ontologicamente differenti (richiedendo sempre e comunque un piano che permetta il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario) né tantomeno configurano strumenti di composizione della crisi ulteriori rispetto a quelli del Ccii, bensì dettano – in via speciale per le società a controllo pubblico e, quanto al co. 5, per le società partecipate dalle amministrazioni di cui all'art. 1, co. 3, l. 196/2009 – appositi vincoli al contenuto e alle modalità di adozione del piano di risanamento predisposto dalla società (eventualmente) nell'ambito e ai fini dell'accesso a detti strumenti di composizione..

E il rispetto di tali vincoli è condizione per considerare i piani in questione "adeguati" (co. 4) e ammissibili (co. 5) per rispondere alla crisi ai sensi del Tusp.Il documento inoltre, non manca di sciogliere alcuni nodi interpretativi. Tra questi, il più rilevante riguarda il co. 5 dell'art. 14 del Tusp. La disposizione, nella prima parte, vieta alle amministrazioni socie di "sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito [e] rilasciare garanzie a favore delle società partecipate" in perdita reiterata triennale; mentre nella seconda parte, nell'indicare, in via di eccezione, le misure "in ogni caso" consentite (a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, contemplate in un piano di risanamento approvato secondo l'iter indicato dalla norma) menziona solo "i trasferimenti straordinari alle società di cui al primo periodo".

Tale asimmetria, secondo l'Osservatorio, può essere superata in via ermeneutica, considerato che tutti gli interventi vietati ai sensi della prima parte sono accomunati nel medesimo disvalore (rivolto a forme di "soccorso finanziario"), di modo che non sarebbe ragionevole escluderne alcuni (sottoscrizione di aumenti di capitale, aperture di credito e rilascio di garanzie) al ricorrere delle medesime condizioni (vale a dire laddove detti interventi siano previsti a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, in un piano di risanamento approvato dall'autority di settore e comunicato alla Corte dei conti).

Sarebbe peraltro auspicabile un intervento correttivo del legislatore volto a sostituire (nella seconda parte del co. 5) le parole "i trasferimenti straordinari" con le parole "gli interventi di cui al primo periodo", così da rimuovere ogni residua incertezza.

(*) Presidente Cndcec
(**) Coordinatore scientifico osservatorio enti pubblici e società partecipate