Per aprire i cantieri servono «tecnigrafi», regole, progetti e risorse, non slogan
L'INTERVENTO. Basta con i balletti inconcludenti sul Recovery, è tempo di decisioni, nel rispetto delle regole
Viviamo uno strano periodo perché se dopo aver analizzato ed approfondito qualsiasi tipo di documento chi li ha studiati osa formulare delle osservazioni, delle critiche sui contenuti del documento stesso viene tacciato immediatamente di disfattismo e di remare contro. Giova rammentare che "criticare" proviene dal verbo greco "krino" il cui significato è di osservare, interpretare, distinguere, esaminare, stimare, valutare. Solo Paolo Gentiloni, con la sua autorevolezza, può avanzare sapienti sottolineature senza essere tacciato di voler «sfiduciare il conducente». A ben vedere Ance ha avanzato le stesse osservazioni, in particolare con riferimento alla centralità del rispetto dei tempi intermedi (milestone) del crono programma di attuazione, oggi finalmente sotto la attenzione di tutti.
Gli ultimi accadimenti, a meno cioè di 2 mesi dalla presentazione del piano in Europa, sembrano confermare i dubbi evidenziati da Ance sin da settembre 2020; fummo allora inascoltati, speriamo di avere maggiore fortuna oggi. È inutile ricordare oggi le perplessità che manifestammo sulla reale portata degli Stati Generali o del Piano Colao o del Piano Italia Veloce, ci sanguina il cuore ma dobbiamo guardare oltre continuando ad essere propositivi. Or bene, dopo aver letto le versioni del Pnrr, quelle del 7 – 9 - 29 dicembre, abbiamo come Ance evidenziato alcune perplessità sulla architettura complessiva, per quanto riguarda le infrastrutture pubbliche, sia con riferimento all'utilizzo delle risorse che sulla effettiva realizzabilità dei progetti prescelti.
L'impiego dei 209 miliardi deve tenere ovviamente conto delle manovre in deficit sin qui adottate per oltre 110 miliardi e che dal 2022 molto probabilmente non potremo più fare affidamento sull'allentamento del patto di stabilità. La scommessa che si legge nei documenti del Governo, e non potrebbe essere altrimenti, risiede nella ripartenza del Pil perché senza questa ripresa non potremo abbattere il rapporto debito/pil, oramai prossimo al 160% e, comunque, neanche incidere quello pre covid che era pur sempre oltre il 130%. Per attivare il pil servono investimenti e non slogan, non mance, questi investimenti devono essere sostenibili in termini ambientali e ridurre le diseguaglianze.
Abbiamo assistito in questi 6 mesi ad un balletto continuo su quanta parte dei 209 miliardi sarebbe stata destinata ad investimenti, dapprima tutti e 209 poi successivamente solo la quota parte a fondo perduto ed ora, sembrerebbe, circa 120 miliardi (80 di fondo perduto e 40 di prestiti). Individuate le risorse destinate ad investimenti abbiamo poi assistito ad un altro balletto riguardante quante sarebbero state le risorse con funzione di finanziamento sostitutivo e quanto quelle destinate a finanziamenti additivi. Abbiamo poi appreso dalla lettura del Pnrr una altra sottodistinzione per le risorse in relazione ai trienni 2021/2023 e 2024/2026.
Nel primo triennio le risorse sarebbe state in gran parte sostitutive per poi recuperare quelle sostitutive, che si impiegheranno insieme alle additive, nel secondo triennio. Con questa linearità e risolutezza pensiamo di riattivare robustamente il pil? Non è finita. Solo nella versione del 29 dicembre sono apparse le schede tecniche di riferimento dei vari interventi ed al paragrafo relativo al crono programma, per la missione M3 quella delle infrastrutture per un tiraggio di 27,7 miliardi, è riportata la tempistica di impiego delle risorse: la stragrande maggioranza nel triennio 2024/2026. A pagina 80 del Pnrr del 29 dicembre al capitolo M3C2 nel punto delle riforme per la migliore pianificazione portuale si invoca, addirittura, la «attuazione della riforma del 1994» (?). Nell'elenco delle opere emergono in via prevalente le previsioni già contenute nella vecchia legge Obiettivo (sono le uniche purtroppo ad avere un livello progettuale sufficientemente evoluto) e diverse opere sono relative a cantieri già in corso da tempo.
Anche per le altre risorse, riconducibili al mondo delle infrastrutture, e non rientranti nella Missione 3 continuiamo ad avanzare forti perplessità sull'avanzamento (esistenza, verrebbe da dire) dei progetti in termini di tempestiva cantierabilità. Siamo certi che per scuole, ospedali, edifici di edilizia residenziale pubblica, vi siano oltre al titolo di facciata anche i relativi elaborati progettuali e che questi progetti siano compatibili con i tempi del Recovery? Quale è il senso di attribuire oggi 3,9 miliardi al dissesto idrogeologico ed avere nei mesi precedenti smontato una struttura operativa che veramente aveva funzionato? La amara considerazione che emerge in maniera inequivocabile è relativa alla inerte trascuratezza con cui si è continuato a considerare, nei fatti, la fase progettuale come una cenerentola; non si spiegherebbe altrimenti il ritardo accumulato sotto questa prospettazione.
Senza procedure concorsuali che privilegino le gare di progettazione, a maggiore ragione oggi con una PA destrutturata in termini di risorse umane, non vi è futuro per il nostro Paese. Senza il severo lavoro a quello che era lo strumento principe presente in abbondanza in ogni operatore del settore quale il tecnigrafo (oggi il computer) non saremo mai pronti ne per le esigenze ordinarie né per quelle straordinarie. Servono meno tavoli, meno slogan e più tecnigrafi (di oggi)! Oramai corrono precipiti i tempi che ci separano dall'appuntamento con la Europa e, come Ance, siamo sempre più convinti della bontà della scelta di puntare sulla alta velocità/capacità ferroviaria che possa collegare organicamente la Sicilia al nord del Paese ed il versante adriatico a quello tirrenico, ma continuiamo a ritenere questa impostazione parziale.
Perché vi sia una vera rinascita occorre una certosina programmazione sulla messa in sicurezza e manutenzione del patrimonio esistente perché troppo fragile e lasciato al degrado, da troppo tempo, è il nostro territorio. Da altra parte questo spettro di azione risulta completamente in linea con le previsioni del Recovery laddove il principio del «do not significant harm» esclude dai finanziamenti europei solo gli investimenti infrastrutturali che provocano effetti negativi sull'ambiente. Attraverso gli interventi di manutenzione non si determinerebbe alcun consumo di suolo, ma solo opere di messa in sicurezza sull'esistente garantendo standard ambientali più elevati e maggiore coesione sociale.
Il tempo dei balletti inconcludenti è terminato e servono decisioni nette e risolute, non è più possibile comperare tempo. Per recuperare il tempo infruttuosamente trascorso non può essere sacrificato oltre il rispetto delle regole perché le (spacciate) semplificazioni in termini di ulteriore riduzione della pubblicità delle procedure, di riduzione del numero delle imprese da invitare e finanche di introduzione della possibilità di convocazioni ad personam delle imprese, significherebbero gettare il settore dei lavori pubblici in balia della "legge del più forte" e non del più meritevole. Sarebbe inaccettabile e privo di qualsiasi utilità per il Paese; si deve intervenire sulle procedure autorizzative a monte delle gare lì si annidano le maggiori perdite di tempo che non consentono alle stazioni appaltanti di procedere con speditezza.
Siamo all'ultimo giro di pista, la campanella ha suonato e non sono previsti tempi supplementari che forse non ci concederà l'Europa ma sicuramente non ci concederà la stabilità del Paese. Per riavviare il Paese servono investimenti (non bonus), progetti realizzabili e regole trasparenti.
(*) Vicepresidente Ance con delega alle opere pubbliche