Urbanistica

Pnrr, 2,2 miliardi a rischio per i ritardi sui fondi di coesione

In tutto, compresi i progetti nazionali, definanziamento possibile per 12,8 miliardi

di Carmine Fotina

«Una mole impressionante di risorse destinate al riequilibrio territoriale e al correlato soddisfacimento di importanti fabbisogni, a cui sinora non è corrisposta, da parte delle Amministrazioni competenti, la realizzazione degli interventi a favore dei territori beneficiari dell'assegnazione delle risorse stesse». È direttamente il Dipartimento politiche di coesione (Dpc), che fa capo a Palazzo Chigi e supporta il ministero per il Sud, ad alzare il livello di attenzione sul fallimento gestionale del Fondo nazionale sviluppo e coesione. La prima «Relazione annuale sull'andamento dei Piani sviluppo e coesione» nelle ultime pagine contiene anche una notizia sorprendente: come conseguenza di questo cronico ritardo ora sono a rischio anche 2,2 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). È l'effetto della scelta di anticipare risorse pregresse del Fondo sviluppo e coesione per finanziare progetti già in essere inseriti nel Pnrr.

Quelle risorse però, relative alla programmazione 2014-2020, hanno un vincolo di spesa molto rigido, ovvero il conseguimento di obbligazioni giuridicamente vincolanti entro il 31 dicembre 2022, che secondo la ricognizione effettuata è praticamente impossibile rispettare. Di qui il serio rischio di definanziamento, insieme ad altri 10,6 miliardi - per un totale di 12,8 miliardi - dei Piani sviluppo e coesione che non sono agganciati al Pnrr. Il governo ora deve trovare rapidamente una soluzione e in uno dei prossimi provvedimenti, forse già il "decreto aiuti", potrebbe entrare una norma che impedirà il definanziamento modificando la disciplina di revoca. Banda ultralarga, ferrovie, dighe, interventi contro il dissesto idrogeologico sono alcuni dei progetti a rischio.

La ricognizione
La stima di 12,8 miliardi in odore di definanziamento include progetti non avviati, pari a 3,7 miliardi, e opere pubbliche ancora in corso di progettazione, per 9,1 miliardi. Il Dipartimento guidato da Ferdinando Ferrara suggerisce di prevedere una clausola di salvaguardia anti-definanziamento anche per 707 milioni destinati ai contratti istituzionali di sviluppo e 687 milioni che riguardano interventi gestiti da commissari straordinari di governo. La Relazione va anche oltre e ipotizza che una parte delle risorse del Fondo sviluppo e coesione che mostrano comunque segnali di avanzamento e quindi consigliano una soluzione diversa dal definanziamento possa essere dirottata a favore di progetti Pnrr che hanno una domanda superiore ai fondi previsti.

Il flop della spesa
Con il decreto 34 del 2019 era stata stabilita la riorganizzazione in unico «Piano sviluppo e coesione» per ciascuna delle 43 amministrazioni coinvolte (ministeri, Regioni e Città metropolitane) delle risorse del Fondo sviluppo e coesione fino a quel momento frammentate in oltre 900 strumenti id programmazione. Ne è scaturito un riassetto da 82,5 miliardi, comunque non esaustivo vista l'incompletezza dei dati che arrivano alla Ragioneria dello Stato per il monitoraggio. Il Dipartimento considera a rischio definanziamento anche almeno una parte degli 8,5 miliardi di al momento associabili a progetti non ancora inseriti nel Sistema nazionale di monitoraggio. E il paradosso è che sono i ministeri a fare decisamente peggio delle Regioni, spesso considerate l'anello debole della spesa, soprattutto nella narrativa sul Sud. Fanno capo ai ministeri 9,1 dei 12,8 miliardi a rischio definanziamento. In termini di impegni rispetto alle risorse assegnate, al netto delle risorse straordinarie destinate all'emergenza Covid, i ministeri sono sotto il 50% a fronte del 65% delle Regioni. Se si considerano i pagamenti, il divario è ancora più netto: 8,9% contro 46,7%.

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