Urbanistica

Pnrr, da 30 a 50 miliardi di investimenti comunali

È la stima del Cdp Think Tank, il centro studi di Cassa depositi e prestiti guidato da Andrea Montanino

di Giorgio Santilli

Passeranno per il coinvolgimento diretto dei Comuni almeno 30 miliardi del Pnrr che potrebbero arrivare fino a 50, «a seconda del volume di progetti di titolarità delle amministrazioni centrali che coinvolgeranno gli enti territoriali nella fase di attuazione». La stima è contenuta in un lavoro di Cdp Think Tank, il centro studi di Cassa depositi e prestiti guidato dal chief economist Andrea Montanino, già direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale. Nello studio, cui hanno collaborato anche Angela Cipollone, Silvia Gatteschi e Alessandra Locarno, una tabella mostra l'elenco dettagliato dei capitoli di investimento del Pnrr che coinvolgono i comuni, come soggetti attuatori o indirettamente come destinatari potenziali di risorse gestite da Roma: dalle scuole agli asili nido, dal verde urbano alla rigenerazione, dallo sport ai borghi storici, dall'housing alle comunità energetiche, dalla disabilità alle piste ciclabili alle metropolitane, ai tram.

«Se un quarto del Pnrr - dice Montanino - passa per i Comuni, è evidente che, per non rischiare di lasciarlo in parte inattuato, serve da parte loro una risposta gestionale efficiente». E a proposito di efficienza, il rapporto Cdp stima che il pieno impiego delle risorse assegnate «richiederebbe un aumento della capacità annua di investimento dei comuni per almeno il 60%». Stima fatta sull'ipotesi che ai comuni arrivino solo 30 miliardi. «Se ne arrivano 50, la capacità di investimento deve raddoppiare». Non è solo sulla capacità di spesa, però, che il Pnrr induce a fare i conti con l'eredità del passato. Il Recovery Plan è la grande occasione per recuperare il gap di investimenti e invertire «il costante declino» della spesa in conto capitale dei comuni che hanno caratterizzato i venti anni del Patto di stabilità interno, dal 1999 al 2018. Nel 2019 la spesa in conto capitale dei comuni era addirittura inferiore, in rapporto al Pil, rispetto al livello del 1995: 0,59% contro 0,86%.

I vincoli di finanza pubblica hanno prodotto paradossi come quello dell'overshooting, l'eccesso di risparmio generato dall'impossibilità di spendere, che nel 2017 ammontava a 4,3 miliardi di euro. Ma soprattutto hanno lasciato un'eredità pesantissima in termini di gap di investimento che lo studio Cdp stima sia superiore a 2 miliardi l'anno, confrontando l'investimento standard pro capite (quanto si sarebbe dovuto spendere a fronte di certe caratteristiche territoriali, geologiche e demografiche) e l'investimento storico (quanto di fatto si è speso). «Con il Pnrr c'è l'occasione di colmare questo gap», dice l'analisi Cdp.Non è solo una questione di quantità, ma anche di qualità e di equità. Il gap di investimento non è stato omogeneo per tutti i comuni. Cdp Think Tank evidenzia le caratteristiche che hanno danneggiato alcuni comuni più di altri. Sul piano territoriale, anzitutto, si riscontrano le difficoltà maggiori «nei comuni più distanti dai grandi assi infrastrutturali, nelle aree interne, lungo la dorsale appenninica e quella adriatica o anche in certe zone alpine. Squilibrio territoriale non è quindi solo Sud».

Ma lo studio evidenzia anche fattori penalizzanti diversi da quelli territoriali: il gap di investimenti è più alto nei comuni con età media più bassa (perché c'è maggiore domanda di edilizia scolastica e di reti di trasporto), in quelli con strutture amministrative impoverite dal blocco del turn over o con una bassa quota di laureati e di giovani. Pesa la debolezza degli uffici tecnici. Quegli uffici tecnici che ora dovranno rispondere ai bandi di gara che pioveranno sui loro tavoli con il Pnrr. «Il Pnrr - dice Montanino - mette in competizione le amministrazioni comunali: otterrà i fondi chi presenterà le proposte migliori, chi riuscirà a realizzare buoni progetti e a portarli fino in fondo nei tempi assegnati. Per vincere questa competizione è fondamentale rafforzare gli uffici tecnici e per questo i comuni avranno bisogno di aiuto e sostegno. Cdp farà la sua parte, con il suo team di consulenti, in attuazione dell'accordo che abbiamo siglato con il Mef». Le attività che avranno più bisogno di sostegno sono di programmazione e progettazione. Anche qui, gli ultimi anni hanno accentuato le differenze.

I più svantaggiati sono i comuni intermedi, con popolazione fra 50mila e 100mila abitanti. Registrano tempi più lunghi di attuazione (5 anni) rispetto agli altri enti. «La differenza fra la performance migliore ottenuta dalle Regioni e quella peggiore registrata dai Comuni intermedi - dice l'analisi - è passata dal 2014 a oggi da 9 mesi e mezzo a oltre 20 mesi». Ci sono altri due aspetti che collegano la riuscita del Pnrr Italia con il lavoro che faranno i comuni. Il primo è che la parte del Piano che passa per gli enti locali è quella che finanzia i servizi per i cittadini. Se il Pnrr sarà realizzato come previsto dai comuni i cittadini avranno scuole ristrutturate, asili nido, università, ospedali e maggiore efficienza energetica. L'altro indicatore del successo che lega comuni e Pnrr riguarda ciò che il Recovery Plan lascerà dopo il 2026. «Se si guarda oltre il breve periodo - dice Montanino – la scommessa è rendere strutturali meccanismi che aumentino la capacità di spesa anche dopo la conclusione del Piano».

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