Urbanistica

Pnrr, dissesto: mix di azioni per ridurre il rischio idrogeologico

Il governo punta a mettere in sicurezza 1,5 milioni di persone interessate dal problema, agendo in modo preventivo attraverso un ampio e capillare programma di interventi strutturali

di Ce. Do.

Ufficialmente le risorse previste dal Recovery Plan per prevenire i rischi collegati al dissesto idrogeologico ammontano a quasi 8,5 miliardi. Spulciando, però, le tabelle collegate al Piano, si scopre che i fondi esplicitamente allocati su questo capitolo sono 2,5 miliardi, ai quali si aggiungono altri investimenti collegati a «interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni» (negli allegati del Recovery Plan, si parla di almeno il 40% di 3 miliardi destinati a lavori pubblici di medie dimensioni nelle municipalità, cioè 1,2 miliardi, da riservare a tale obiettivo). Il governo punta a mettere in sicurezza 1,5 milioni di persone interessate dal problema, agendo in modo preventivo attraverso un ampio e capillare programma di interventi strutturali, volti a mettere in sicurezza da frane e o ridurre il pericolo di allagamento, e misure non strutturali previste dai piani di gestione del rischio idrico e di alluvione, focalizzati sul mantenimento del territorio, sulla riqualificazione, sul monitoraggio e sulla prevenzione.

La vera sfida, però, per fronteggiare un fronte particolarmente rilevante in Italia poiché riguarda gran parte della penisola - il 63,9% dei Comuni italiani secondo una fotografia elaborata dall’Uncem (Unione nazionale dei comuni, comunità ed enti montani) su dati Ispra (Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale) - è rappresentata nel Recovery Plan alla voce “riforme”. Perché, come ha ricordato più volte anche la Corte dei conti, sulla mancata risoluzione del problema del dissesto idrogeologico incidono soprattutto l’assenza di un’efficace politica nazionale di natura preventiva e non urgente, ma anche la debolezza dei soggetti attuatori e dei commissari/presidenti straordinari di Regione che non hanno risorse tecniche dedicate. Da qui, la volontà di intervenire sia sul fronte del rafforzamento delle strutture commissariali e delle capacità operative delle autorità di bacino distrettuale e delle Province (presso le quali istituire un ufficio specializzato di cui anche i commissari possano avvalersi) sia su quello della semplificazione e accelerazione delle procedure per l’attuazione e il finanziamento degli interventi, partendo dalla revisione del Dpcm 28 maggio 2015 che ha fissato i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse per le misure di mitigazione del rischio e del sistema ReNDiS (il Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) gestito dall’Ispra. Una revisione normativa profonda, quindi, che, secondo la road map fissata dal Pnrr, dovrebbe concludersi per la metà del 2022 e che dovrebbe essere accompagnata anche dalla sistematizzazione dei flussi informativi e dall’interoperabilità dei diversi sistemi informatici sul fenomeno.

Più binari, quindi, su cui, anche il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, sta provando a intervenire tanto che, già nella bozza di Dl semplificazioni, da lui firmata e in parte confluita nel provvedimento approvato dal governo, erano previsti sia il potenziamento della capacità operativa di area vasta per accelerare la messa a terra degli interventi di difesa del suolo, con la costituzione di un ufficio speciale per il contrasto al dissesto idrogeologico, sia la razionalizzazione dei sistemi informativi per le politiche di difesa del suolo con l’Ispra, incaricata di tutta l’attività tecnica, che dovrà coordinarsi con le analoghe strutture del Mef e della Presidenza del Consiglio. Misure che a questo punto potrebbero rientrare all’interno del Piano per la transizione ecologica su cui sono al lavoro i tecnici del Mite e che dovrà contenere anche il cronoprogramma del programma di contrasto al dissesto idrogeologico.

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