Il CommentoFisco e contabilità

Pnrr alla prova della guerra e del caro-materiali, serve una filiera di coordinamento

di Enrico Caterini ed Ettore Jorio

Il Pnrr trova di fronte alla sua esecuzione gli ostacoli della guerra e del caro materie prime. Gap insormontabili che vano ad aggiungersi a una burocrazia non affatto pronta ad affrontare i temi che il medesimo pone per la sua concreta e puntuale realizzazione. Cominciano ad accorgersene i Presidenti di Regione e sindaci, peraltro lasciati da soli nonostante gli esperti disseminati qui e lì, a seguito di una selezione numericamente nutrita, dalla quale però non è uscito fuori granché in termini di professionalità ed esperienze necessarie. Il quasi raddoppio dei prezzi ha già fatto rovine: tre miliardi di costi extra per le opere infrastrutturali previste e 500 milioni che occorrono in più ai cantieri aperti (si veda NT+ Enti locali & Edilizia del 6 aprile).

Insomma un bel problema. E non affatto di poco conto. Ciò perché i primi a essere inadeguati sono gli organi preposti alla guida degli enti territoriali, soggetti attuatori di una gran parte della realizzazione delle opere. Con una esperienza posseduta non certamente esaltante sul piano della relativa performance di buona pratica di spesa dei fondi ordinari unionali, per il tramite dei cosiddeti Por.

Da qui, l'esigenza di soccorrere attraverso un provvedimento governativo di revisione prezzi di adeguamento dei costi di realizzazione degli investimenti. Un'altra, di chiedere all'Ue un rispettivo rialzo dei finanziamenti concessi. In buona sostanza, di attualizzazione del loro potere di acquisto per sopportare i danni indiretti della guerra in atto ovvero, alternativamente, di ridimensionamento del programmato con il Pnrr. Pena la irrealizzabilità delle opere previste, peraltro condizionate anche dal meccanismo degli stati di avanzamento, che rischierebbero di divenire, a fine 2026, delle incompiute con obbligo di restituzione dell'erogato dall'Ue e investito dal Governo e dagli enti infra-statali.

A un siffatto verosimile disagio occorre trovare una soluzione organizzativa, al di là del pretendere un incremento dall'Ue delle risorse. Una sorta di Piano Marshall in salsa europea, quale piano politico-economico unionale per risarcire i Paesi più colpiti e danneggiate dal Covid, dalle ricadute economico-finanziarie della guerra di Ucraina e dall'inflazione, oramai al 6% (NT+ Enti locali & edilizia del 7 aprile).

Difficile da rintracciare, soprattutto perché tutta la Pa, centrale e territoriale, s'è concentrata sul godimento del Recovery Fund, supponendo di «vincere la lotteria senza acquistare il biglietto». Senza pensare, cioè, ad attrezzare la propria maestranza burocratica a sopportare lo sforzo di progettualità, di percorso nella definizione rapida delle procedure di appalto, di imporre una esecuzione all'altezza e puntuale. Non ritenendo sufficiente ad hoc la «pezza a colore» di selezionare esperti in grande quantità, che esperti non sono e non per colpa loro, destinati a svolgere compito molto vicini a quello degli stagisti.

Cosa fare. È davvero difficile pensare a una soluzione del problema. Ciò che si può proporre, ritenendo inidoneo al riguardo una attribuzione specifica da delegare alla efficiente protezione civile mediante i previsti commissariamenti specifici, è il ricorso alla previsione costituzionale contenuta nell'articolo 120, comma secondo. Sono infatti in gioco e in forse, considerati anche gli investimenti infrastrutturali usufruibili dal Paese intero nel determinare il suo sviluppo e la sua crescita diffusa, l'unità giuridica ed economia della Repubblica. Ma anche di tutela dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), riferibili ai diritti civili e sociali. Più esattamente, riconducibili alla tutela della salute, alla assistenza sociale, ad istruzione e trasporti pubblici, a condizioni di vita della collettività.

Una strada praticabile anche per recuperare gli enormi ritardi accumulati sino a oggi, da taluni Regioni e Comuni incoscientemente.

D'altronde, nulla di strano a destinare per una siffatta difficile soluzione i poteri surrogatori del Governo Draghi, che ha dato prova di saperci fare in tal senso. Il modo per rendersi garante di quell'unitarietà dell'intervento realizzativo, della concentrazione delle procedure per appaltare ed eseguire i lavori, dell'applicazione dei criteri dei quali dovrà rispondere a fine mandato e, ci si augura, oltre.

Il Governo ha gli strumenti per costruire una filiera di coordinamento che coinvolga istituzioni pubbliche e private in un'idea di governance emergenziale che coniughi democrazia ed efficienza, pubblico e privato, autorità e consenso. Niente contro il regionalismo differenziato - che è tutt'altra cosa e del quale la Gelmini ha dato notizia di avere ultimato un ddl - ma è in discussione l'unità del Paese e non sarebbero ammissibili performance differenziate.