Personale

Poca stima professionale e antipatia non fanno mobbing

Se questi atteggiamenti non caratterizzati dalla volontà di isolamento ed emarginazione del lavoratore

di Pietro Alessio Palumbo

Solo se si accerta che ragione della persistente condotta vessatoria del datore di lavoro è procurare danno al lavoratore siamo di fronte a mobbing; diversamente il tutto fa parte delle dinamiche relazionali che purtroppo non possono essere sempre «rose e fiori».

Secondo il Consiglio di Stato (sentenza n. 4013/2022) una restrizione del genere, se per un verso permette di rinvenire nel mobbing un'ulteriore manifestazione del divieto di agire intenzionalmente a danno altrui consente per altro verso di escludere dall'orbita della fattispecie tutte quelle vicende in cui fra datore di lavoro e lavoratore si registrano semplicemente posizioni divergenti o talvolta perfino conflittuali. In altre parole, l'antipatia, la sfiducia, o anche la scarsa stima professionale, se non caratterizzati dalla volontà di isolamento ed emarginazione del lavoratore non costituiscono mobbing.

Ai fini della configurabilità del mobbing sono necessari: la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato "contro" il dipendente con intento vessatorio; l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; la prova dell'elemento soggettivo, costituito dall'intento persecutorio. L'elemento qualificante del mobbing non va quindi ricercato nella legittimità o illegittimità dei singoli atti ma nel traguardo opprimente, nel tormento che li unifica tutti; e che va documentato dal dipendente che assume di avere subito la condotta mobbizzante da parte del capo, un suo collaboratore, un proprio stesso collega.

Su questi presupposti va ritenuta sussistente la citata condotta vessatoria nelle fasi di una costante ghettizzazione del lavoratore il quale abbia progressivamente patito un processo di svuotamento delle mansioni accompagnato da comportamenti ostili e asfissianti, reiterati e sistematici; incoerenti rispetto all'ordinaria gestione di un rapporto lavorativo. In altre parole ai fini della configurabilità del mobbing devono ricorrere una serie di comportamenti dall'intento prepotente e dallo spirito sopraffattore che con proposito vessatorio siano posti in essere contro la vittima designata in modo sistematico e crescente nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro, di un suo preposto, ovvero di altri dipendenti sottoposti al potere direttivo dei primi. Per costatare la concreta presenza di mobbing è inoltre necessario che gli atti di gestione del rapporto in danno del dipendente siano sintomatici della presenza di gravi pressioni psicologiche e non di una mera divergenza e persino conflittualità di vedute e di idee. L'intento di persecuzione deve insomma non solo sorreggere le singole condotte poste in essere in pregiudizio del dipendente, ma anche comprenderle in un disegno malevolo, comune e unitario.

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