Pubblico impiego, la condanna penale può legittimare il licenziamento
Non è eslusa una rinnovata valutazione in sede disciplinare dei fatti accertati dal giudice
Il giudicato penale non preclude una rinnovata valutazione in sede disciplinare dei fatti accertati dal giudice penale, data la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità, appunto quella penale e quella disciplinare. Rimane però fermo il limite dell'accertamento dei fatti nella loro materialità, ovvero della ricostruzione dell'episodio posto a fondamento dell'imputazione. A sottolinearlo è la Sezione lavoro della Cassazione con la sentenza n. 15464, depositata ieri.
La vicenda
Oggetto della decisione è stato la condotta tenuta da un ex dipendente della Procura della Repubblica, con la qualifica di conducente di automezzi, il quale si era reso responsabile di numerosi episodi di falso e truffa, per aver formato diversi decreti di pagamento di spese di giustizia apparentemente emessi da magistrati, conseguendo circa 10mila euro a danno dell'Erario. Finito agli arresti domiciliari, all'uomo veniva contestato l'illecito disciplinare e allo stesso tempo veniva disposta la sospensione del relativo procedimento, in attesa della definizione del giudizio penale. Nelle more di quest'ultimo, l'uomo veniva prima reintegrato per scadenza dei termini della misura cautelare e, dopo la condanna in via definitiva, licenziato all'esito della riattivazione del procedimento disciplinare.
La decisione
La massima sanzione disciplinare veniva così impugnata dinanzi ai giudici del lavoro che, a distanza di circa 10 anni dai fatti di reato, concludevano con la bontà del licenziamento irrogato. Alla stessa conclusione è pervenuta la Cassazione, che ha respinto i diversi motivi di ricorso dell'ormai ex dipendente pubblico. La Suprema corte ha sottolineato la correttezza della valutazione dei giudici di merito che hanno ritenuto i fatti oggetto del giudizio penale «di gravità e disvalore tali da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, poiché una condotta siffatta aveva senz'altro compromesso il rapporto fiduciario» tra datore di lavoro e dipendente, rapporto che deve essere improntato al rispetto della «lealtà e affidabilità reciproca».
In sostanza, affermano i giudici di legittimità, l'amministrazione, in sede disciplinare, ha rispettato l'articolo 55-ter comma 4 - nella versione risultante dalla riforma Madia - in base al quale il giudicato penale fa stato in ordine ai fatti storici e alla commissione degli stessi da parte dell'imputato. Ciò posto, la stessa amministrazione ha apprezzato in termini di gravità e disvalore la condotta tenuta dal dipendente, ritenendo definitivamente pregiudicato il rapporto di fiducia che deve sussistere tra l'amministrazione pubblica e il lavoratore. Tanto basta per ritenere legittimo il licenziamento.