Pubblico impiego, il congedo parentale all'80% è assorbito dalla norma contrattuale di maggior favore
Il chiarimento della Funzione pubblica che risolve un rebus di non poco conto
Il trattamento economico di miglior favore, introdotto dalla legge di bilancio 2023 per uno dei tre mesi non trasferibili di congedo parentale dei genitori, che se goduto alternativamente, entro i sei anni di vita del figlio, è retribuito all'80% invece che al 30%, non si applica per il personale delle pubbliche amministrazioni laddove il contratto nazionale di comparto riconosce già la misura del 100% per i primi trenta giorni.
Sono questi i contenuti del tanto atteso chiarimento della Funzione pubblica (parere DFP-0020810-P-27/03/2023), che risolve un rebus di non poco conto.
Le difficoltà interpretative nascono dall'articolo 1, comma 359, della legge di bilancio 2023 che, novellando l'articolo 34 del decreto legislativo 151/2001, ha elevato la misura dell'indennità per congedo parentale all'80%, rispetto all'ordinaria entità del 30%, per la durata massima di un mese, se goduto in via alternativa fra i genitori fino al sesto anno di vita del figlio.
Sono nove i mesi di congedo parentale retribuiti con un'indennità pari al 30%. Di questi nove mesi, tre non sono trasferibili per ciascun genitore e altri tre sono alternativi. La modifica al Testo Unico sulla maternità e paternità ad opera della Legge di Bilancio ci ha restituito uno dei tre mesi non trasferibili, retribuito all'80% se goduto entro i 6 anni di vita del figlio e in via alternativa tra i genitori.
Sin da subito è stato evidenziato (si veda NT+ Enti locali & edilizia del 17 febbraio), che la formulazione della disposizione novellata potesse lasciar intendere nel pubblico impiego che il beneficio fosse aggiuntivo rispetto alle disposizioni contrattuali che si ripetono in ugual modo nei comparti pubblici e che prevedono per le lavoratrici madri o in alternativa per i lavoratori padri, i primi trenta giorni di congedo parentale retribuiti per intero.
L'interpretazione estensiva nasce dalla formulazione dei due diversi disposti: quello contrattuale specifica che ad essere retribuito per intero sia il primo mese di congedo parentale, mentre il d.lgs. 151/2001 parla di un mese di congedo parentale, dei tre non trasferibili.
Questo grattacapo non ha trovato risposte nell'Aran (parere protocollo entrata n. 663 del 23/1/2023) che ha passato la mano alla Funzione Pubblica in quanto istituzionalmente competente per l'interpretazione delle norme di legge.
Per i tecnici di Palazzo Vidoni la soluzione è da ricercare all'interno dei contratti nazionali di lavoro. Ai pubblici dipendenti possono essere erogati solo i trattamenti economici espressamente previsti dalla contrattazione collettiva in combinazione con quanto stabilito dalla fonte legale.
Da ciò ne consegue che qualora nella disciplina contrattuale (come per il personale degli enti locali con l'articolo 45, comma 3, del contratto del 16 novembre 2022) è già contemplata una norma di maggior favore per i primi trenta giorni di congedo (pagati al 100% della retribuzione) rispetto alla disciplina legale (indennità pari al 30% del trattamento economico in godimento ora elevata all'80% per effetto della novella normativa) la novella disposizione contenuta nella legge di bilancio 2023 non può trovare applicazione.
Ciò in ragione del fatto che al medesimo periodo il contratto nazionale di riferimento già riconosce una posizione di maggior favore.
Rimane da chiarire ora, se la cornice di fonte legale come modificata da ultimo, torna ad arginare temporalmente il limite di retribuibilità per intero del congedo parentale contenuto nel contratto. Se cioè il primo mede di congedo parentale nel pubblico impiego possa essere retribuito per intero, ove goduto alternativamente, anche oltre la soglia anagrafica dei 6 anni del figlio.