Il CommentoAmministratori

Regioni tra autonomia, competenze e l’efficacia dell’operato statale

di Ennio Cascetta

Il tema della modifica della distribuzione delle competenze fra Stato nazionale e Regioni è al centro del dibattito pubblico. Le ragioni espresse a favore e contro alla proposta di legge del ministro Calderoli sono raggruppabili in alcune categorie. A favore milita la maggiore vicinanza ai bisogni dell’elettorato delle amministrazioni regionali e la maggiore capacità amministrativa di (alcune) Regioni rispetto alla macchina burocratica dello Stato. Di contro si fanno tre obiezioni: una crescente iniquità nella distribuzione delle risorse e nella dotazione di “servizi di cittadinanza” fra Regioni in assenza di importanti risorse aggiuntive, la riduzione dell’unità nazionale differenziando alcune materie e una diseconomia di scala, una minore efficacia ed efficienza del livello regionale per alcune tematiche come logistica, trasporti ed energia. Un’analisi delle proposte in campo dovrebbe partire dalla valutazione degli effetti della riforma del Titolo V della Costituzione italiana nel 2001.

Come assessore ai Trasporti e alle Infrastrutture della Campania per dieci anni e per cinque coordinatore nazionale degli assessori regionali nella Conferenza delle Regioni da un lato e come coordinatore della Nuova struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, presidente di Anas e coordinatore del Piano generale dei trasporti e della logistica dall’altro, ho avuto l’opportunità di sperimentare l’avvio e le conseguenze del federalismo nel settore dei servizi e delle infrastrutture di trasporto. Penso che il passaggio alle Regioni di competenze in precedenza esercitate dallo Stato su materie molto collegate alla vita e allo sviluppo delle comunità locali abbia sortito effetti generalmente positivi, maggiori dove queste competenze sono state esercitate pienamente.

Mi riferisco al tema della organizzazione del Trasporto pubblico locale e alla proprietà di sistemi ferroviari a evidente valenza locale come le ex ferrovie concesse, ma anche la gestione della portualità non di interesse nazionale. Non è invece tecnicamente ragionevole e non è stata efficace la individuazione di competenze concorrenti Stato-Regioni sulle grandi infrastrutture. La ricerca dell’assenso delle singole Regioni ha portato, nella mia esperienza, all’allungamento dei tempi, alla inclusione di opere non del tutto necessarie e ad aumenti di costi non giustificati, in alcuni casi alla perdita di una visione nazionale. L’estensione delle competenze esclusive delle regioni alle infrastrutture di interesse nazionale ed europeo sarebbe del tutto irragionevole. Di converso, il ruolo dello Stato è notevolmente compromesso dallo squilibrio di stabilità politica fra le istituzioni, dove Governi regionali stabili per cinque e spesso dieci anni si confrontano con Governi nazionali della durata media di 18 mesi. Un esempio eclatante è stata la impossibilità di definire i Livelli essenziali universali che dovrebbero garantire le risorse eque sul territorio nazionale per soddisfare in modo efficiente i bisogni ritenuti essenziali per tutti i cittadini italiani, dai trasporti alla sanità. Nel caso dei trasporti questo tema significa la distribuzione del Fondo nazionale dei trasporti che finanzia il trasporto pubblico delle diverse regioni italiane e che nonostante i molteplici tentativi di diversi Governi rimane ancorato alla spesa storica. Ancora, la indicazione della legge nazionale di assegnare a gara i contratti di servizio di trasporto pubblico per ambiti efficienti è rimasta inattuata, con effetti molto negativi sulla qualità e l’efficienza di questi servizi fondamentali. Gioca invece a sfavore delle competenze statali la pesantezza delle norme e delle burocrazie che sono meno efficienti e più stratificate di quelle regionali, almeno in alcuni casi. Insomma i limiti di un assetto Statale inefficiente e instabile non possono essere superati dal trasferimento alle Regioni di competenze che per ragioni di equità, unità nazionale o diseconomie di scala sarebbero più opportunamente gestite dallo Stato. Di converso nei casi in cui queste circostanze non sussistano è ragionevole consentire alle Regioni più efficienti di governare materie e competenze che possano migliorare le condizioni sociali ed economiche dei propri cittadini, anche se questo comporterà un ampliamento del differenziale con le regioni meno efficienti che può essere ammortizzato solo con fondi e funzioni perequative dello Stato. Insomma siamo in uno stallo dal quale è possibile uscire solo con una riforma dello Stato prima e delle competenze concorrenti, dopo. «Vaste programme», avrebbe detto De Gaulle.