Progettazione

«Requisiti di fatturato limitati all'ultimo triennio, con il nuovo codice a rischio mercato e gare di ingegneria»

INTERVENTO. L'Oice all'attacco sulla stretta per la qualificazione agli appalti di servizi: è il primo punto da correggere

di Giorgio Lupoi (*)

Fra meno di due mesi il nuovo codice appalti entrerà nella sua "piena efficacia" e tutti gli operatori del settore ne stanno studiando gli effetti e le inevitabili, classiche, "luci e ombre".
Il Consiglio generale dell'Oice ha avviato una profonda riflessione sulle parti dell'articolato che impattano in misura più o meno rilevante sul settore dell'ingegneria e dell'architettura e, sentita la base associativa, ha scelto condividere le valutazioni positive sugli aspetti maggiormente innovativi e qualificanti della riforma e di sottolinearne le criticità che potrebbero portare ad una distorsione o ad un blocco del mercato, provando a proporre possibili correttivi.

La scelta è motivata non soltanto dall'importanza del provvedimento, che per il nostro settore rappresenta il documento di politica industriale, così come lo sono a livello europeo le direttive appalti, ma anche dal ruolo proprio di una associazione confindustriale che deve fornire indicazioni/suggerimenti per la migliore azione possibile del nostro governo, nell'interesse dell'intera nazione.

In questo contesto l'Oice è l'associazione confindustriale che rappresenta l'ingegneria e architettura organizzata e riunisce circa 350 società, con un numero di addetti superiore alle 18.000 unità, ed un fatturato di oltre 3 miliardi di euro. Il contributo che offriamo al dibattito sulla riforma del codice appalti è quindi espressione della sua articolata composizione interna: in Oice operano dalle piccole società e piccoli studi di ingegneria e architettura, fino alle grandi società con oltre 500 addetti, passando per le società di ingegneria a capitale pubblico e a supporto di grandi gruppi. La posizione che si sta maturando sulle nuove regole è quindi frutto di una ampia e variegata esperienza, maturata in Italia e all'estero: confidiamo che, anche per questo, sia presa in considerazione da parte di decisori pubblici.

Con questo spirito abbiamo compiuto i nostri approfondimenti, evidenziando sia gli importanti passi avanti che comunque sono stati fatti soprattutto nel senso della semplificazione di alcuni procedimenti e di razionalizzazione di alcune materie, sia le scelte che invece possono costituire un ostacolo allo sviluppo e risultano non essere coerenti a principi guida ispiratori.

Sotto questo punto di vista un primo tema di maggiore delicatezza è senza ombra di dubbio quello relativo ai requisiti di partecipazione da dimostrare per partecipare agli affidamenti di servizi di ingegneria e architettura riportati all'articolo 100 del decreto 36.

Il nuovo Codice introduce diverse novità rispetto al precedente decreto 50 ed alle indicazioni riportate nella Linea Guida Anac n. 1. Positiva è l'ipotesi di adottare un sistema di qualificazione organizzato in analogia al modello esistente per le imprese di costruzione; se questa opzione sarà seguita (perché non è automatica ed è rinviata ad un provvedimento attuativo), potrebbe portare certamente ad una semplificazione e ad una complessiva riduzione dei costi a beneficio di tutti, operatori economici e stazioni appaltanti. Su questo aspetto l'Oice sta già lavorando e riflettendo per vedere su quali punti si potrebbe mettere a punto un adattamento del sistema delle imprese al mondo dei servizi di ingegneria e architettura e si rende disponibile ad un confronto il ministero delle infrastrutture. Ecco quindi una prima "luce".

Rappresenta invece una cupa e profonda "ombra" la penalizzante limitazione all'ultimo triennio (art. 100, comma 11) posta in essere sui requisiti economici e, soprattutto, su quelli tecnico professionali. La formulazione riportata - ad avviso unanime del nostro Consiglio generale - non può che essere interpretata come una svista da sanare il prima possibile per evitare un impatto negativo sul mercato e non penalizzare, ad esempio, quelle realtà che, anche a causa della pandemia, hanno dovuto ridurre le loro attività negli ultimi tre anni. A questo va aggiunto che, in alcuni ambiti, il riferimento al triennio è di fatto inapplicabile: si pensi alle direzioni lavori che per molti interventi vanno ben oltre i tre anni, o a settori come la progettazione di dighe in cui certamente negli ultimi tre anni, se si è lavorato lo si è fatto, in misura limitata e soltanto all'estero.

È vero, si potrebbe dire, che il triennio è la regola prevista nelle direttive europee, ma come sempre, quando ci si relaziona con le direttive, è vero un principio generale rispetto al quale l'Unione europea non potrà mai eccepire: se nel recepimento di esse uno Stato membro vuole ampliare la concorrenza è benvenuto. Va benissimo evitare il "gold plating", ma non a scapito di chi opera nel settore delle costruzioni, anzi nella prima e più delicata fase dell'iter di realizzazione di ogni opera pubblica. Peraltro, proprio perché la riforma è strumento di politica industriale occorrerebbe essere coerenti anche con la spinta, di cui è permeato tutto il codice (come le direttive europee e il nostro sistema giuridico che anni fa votò la legge "small business act" che non risulta essere stata abrogata) a favorire l'accesso al mercato e la crescita delle piccole e medie e microimprese. A queste ultime, come se non bastassero i requisiti triennali, è stata tolta dal decreto 36 anche la possibilità di documentare la propria capacità economico- finanziaria attraverso la produzione di una polizza assicurativa per la copertura della Rc professionale con adeguati massimali. Una norma, questa sulla polizza, da catalogare "missing" nel decreto 36, come molte altre dedicate all'ingegneria e all'architettura, oggi presenti nel decreto 50 e non riprodotte nel nuovo testo.

Sono tutti elementi, peraltro, che almeno dalla fine degli anni '90 erano stati presi in considerazione e valutati in un'ottica di apertura del mercato, nell'attuazione delle diverse Leggi Merloni e – dal 2006 – del codice dei contratti e che avevano portato sia nei regolamenti, sia nella linea guida Anac n.1 a definire un sistema di qualificazione in gara, per i servizi di ingegneria e architettura fondato sui tre migliori anni del quinquennio, per il fatturato, e sugli ultimi dieci anni per i servizi analoghi. Un altro riferimento utile che avvalora la nostra proposta è costituito dall'arco temporale richiesto per la qualificazione delle imprese, pari a 15 anni. Riteniamo che questo sia uno dei primi punti, forse il più urgente, su cui intervenire. Su altri punti stanno emergendo altri profili da approfondire e non mancheremo di tornare a segnalarli nel più ampio spirito collaborativo e costruttivo. Si tratta delle regole che governeranno, speriamo stabilmente, i contratti pubblici anche dopo il Pnrr e per questo è necessario che assicurino, sempre nella "logica del fare", sviluppo, concorrenza e trasparenza e, alla fine, qualità del costruito.

(*) Presidente Oice

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