Personale

Resti assunzionali o spazi per i «virtuosi»

Il Mef stoppa la somma fra i due meccanismi che ampliano gli ingressi

di Gianluca Bertagna e Davide D’Alfonso

I resti assunzionali dei cinque anni antecedenti al 2020 sono alternativi rispetto agli spazi concessi dalla Tabella 2 del Dm 17 marzo 2020 e non possono essere sommati. Queste le conclusioni della nota 12454/2020 che la Ragioneria generale dello Stato ha inviato al Comune di Roma. Conclusioni tutt’altro che scontate.

Il decreto attuativo dell’articolo 33, comma 2 del Dl 34/2019 prevede che ciascun Comune verifichi la propria possibilità di assumere applicando parametri percentuali. La Tabella 1, disciplinata all’articolo 4 del Dm, impone quale condizione per poter incrementare la spesa di personale registrata nell’ultimo rendiconto la verifica del rispetto della soglia «di virtuosità».

È poi necessaria un’ulteriore verifica: l’articolo 5 chiede infatti ai Comuni di contenere la crescita della spesa di personale entro un ulteriore valore percentuale, progressivamente crescente anno per anno fino al 2024, calcolato sul dato fisso della spesa 2018. È, questo, il valore determinato dalla Tabella 2. Se il valore da questa restituito è inferiore a quello calcolato applicando la Tabella 1, dev’essere preferito.

A complicare ancora un poco il calcolo si inserisce un’ulteriore variabile: il comma 2 dell’articolo 5 consente ai Comuni che abbiano a disposizione resti assunzionali, calcolati secondo le vecchie regole del turn-over e riconducibili al cinque anni antecedenti al 2020 (capacità assunzionale 2015-2019 sui cessati 2014-2018), di utilizzare quelle somme “in deroga” agli incrementi percentuali della Tabella 2. I resti, se non utilizzati, rimangono disponibili fino al 2024.

Sul punto la circolare interministeriale del 13 maggio 2020 evidenziava la possibilità di superare il valore restituito dalla Tabella 2 attraverso l’uso dei resti assunzionali.

Con un minimo di favore per gli enti che non solo erano “virtuosi” ma anche in possesso di turn-over non speso, sembrava possibile consentire l’aggiunta dei resti agli spazi concessi dallìarticolo 5, pur sempre senza superare il valore soglia. Anche perché per loro natura i resti non possono rappresentare un incremento della spesa, riferendosi a cessazioni di personale non sostituite e provenendo da un pregresso regime nel quale il rapporto di sostituzione non aveva mai superato il 100 per cento.

Il Mef invece ritiene che le due opzioni (spazi assunzionali di Tabella 2 e resti dei cinque anni antecedenti) siano alternative: il Comune sceglierà pertanto il più favorevole dei due, sempre garantendo il rispetto del valore soglia.

La Ragioneria rileva che l’applicazione dei resti, se superiori agli spazi concessi dal Dm, rappresenta una condizione di maggior favore derivante dall’applicazione della vecchia normativa, da utilizzarsi in via derogatoria in modo tale che non sia «dispersa dall’ente quale più favorevole alternativa rispetto alla nuova disciplina». Al contempo, però, essa «non può essere intesa come una sommatoria delle due distinte predette tipologie di incremento della spesa di personale», poiché è necessario mantenere la gradualità dell’espansione della spesa di personale che l'articolo 5 intende presidiare.

Questa lettura premia nuovamente la discontinuità assoluta tra vecchio e nuovo regime assunzionale del Comuni, puntando su quella sostanziale incomunicabilità dei due sistemi che è stata rimarcata a più riprese dalla Corte dei conti e che viene richiamata anche nella Nota in esame, comportando purtroppo una scelta che può risultare penalizzante per molti enti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©