La rettifica della graduatoria di concorso sbagliata è doverosa in regime di autotutela
Il provvedimento di rettifica della graduatoria di un concorso pubblico ha natura di atto di autotutela basato su un errore che non attiene all’accertamento dei presupposti dell’agire dell’amministrazione, all’interpretazione della disciplina applicabile alla fattispecie, ovvero all’esercizio dell’eventuale discrezionalità; bensì consiste nella mera errata trasposizione nel provvedimento della volontà dell’amministrazione, per come risultante dallo stesso atto. Pertanto, la mera correzione di errori materiali non implica, per sua natura, alcuna ponderazione di interessi, non essendo astrattamente configurabile un’esigenza pubblica alla conservazione di un atto a contenuto errato. È quanto afferma la II Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 4 giugno 2020, n. 3537.
L’approfondimento
Il Consiglio di Stato è intervenuto affermando l’insussistenza del vizio formale di omessa comunicazione di avvio del procedimento per la rettifica della graduatoria di un concorso pubblico, trattandosi di attività doverosa in regime di autotutela.
La decisione
Nell’accogliere l’appello del Ministero dell’economia, il Collegio ha avuto modo di rilevare come l’art. 21-octies, Legge 241/1990, preveda due distinte ipotesi di vizi formali o procedimentali inidonei a determinare l’annullabilità del provvedimento: quella contemplata nel primo alinea del comma 2, riguarda gli atti a carattere vincolato, per i quali la mancata rispondenza al paradigma legislativo, non avendo alcuna incidenza sul contenuto dispositivo, che non avrebbe potuto comunque essere diverso, non comporta mai l’annullamento; quella dettata invece per lo specifico vizio procedurale rappresentato dalla mancata comunicazione di avvio del procedimento, richiede per la conservazione dell’atto, pure se discrezionale, un onere probatorio aggiuntivo a carico dell’amministrazione procedente circa l’inutilità del potenziale apporto collaborativo dell’interessato.
Per il Collegio, infatti, il provvedimento di rettifica della graduatoria di un concorso pubblico ha natura di atto di autotutela e dunque è corretta la qualificazione come “di secondo grado” in quanto va ad incidere su un sottostante provvedimento.
Esso, tuttavia, si caratterizzerebbe per il suo fondarsi su un errore che non attiene all’accertamento dei presupposti dell’agire dell’amministrazione, all’interpretazione della disciplina applicabile alla fattispecie, ovvero all’esercizio dell’eventuale discrezionalità; bensì consiste nella mera errata trasposizione nel provvedimento della volontà dell’amministrazione, per come risultante dallo stesso atto. Dati per presupposti, infatti, in quanto predeterminati dal bando, i criteri di valutazione dei titoli, l’amministrazione (nel caso di specie l’Agenzia delle entrate) avrebbe però sbagliato la traduzione in punti, con ciò alterando l’ordine della graduatoria basata esclusivamente su tali conteggi. In presenza dell’allegazione di un errore materiale, nel senso ora indicato, ovvero in caso di sua autonoma individuazione, non poteva dunque esimersi dall’obbligo di accertare nel merito se effettivamente l’errore dedotto fosse riscontrabile ovvero comunque dal correggerlo, una volta rilevato.
Tale obbligo discende, in particolare, dal fondamentale canone di buona fede, cui è informato l’ordinamento giuridico e al quale devono essere improntati non solo i rapporti tra i consociati – tenuti, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà – ma anche e soprattutto la pubblica amministrazione, cui l’art. 97 della Costituzione impone di agire con imparzialità e in ossequio al principio del buon andamento.
D’altro canto, la mera correzione di errori materiali non implica, per sua natura, alcuna ponderazione di interessi, non essendo astrattamente configurabile un’esigenza pubblica alla conservazione di un atto a contenuto errato.
Pertanto, inquadrata la rettifica nell’ambito di quei particolari provvedimenti di secondo grado connotati dall’avere tipicamente ad oggetto l’eliminazione di un errore materiale, gli eventuali vizi formali e/o procedurali dai quali essa risulti affetta non possono che ricadere nel paradigma automaticamente conformativo, anziché caducatorio, declinato nel primo alinea del comma 2 dell’art. 21-octies, Legge 241/1990, senza che sia richiesta alcuna allegazione aggiuntiva da parte dell’Amministrazione procedente.
Conclusioni
Alla luce di queste premesse, ne deriva che, l’inosservanza dell’obbligo di procedere all’avviso di avvio del procedimento amministrativo, non determina l’annullamento dell’atto adottato laddove, secondo quanto previsto dal predetto art. 21-octies, il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.