Personale

Reversibilità all'orfano maggiorenne e disabile del dipendente solo se inabile assoluto al lavoro

La situazione di disabilità grave non è sufficiente a determinare l'inabilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa

di Claudio Carbone

Il figlio superstite di un dipendente pubblico deceduto in condizioni di fragilità perché non autosufficiente, ha diritto al riconoscimento della pensione indiretta in qualità di orfano maggiorenne soltanto se sussiste una assoluta e permanente impossibilità a svolgere una qualsiasi attività lavorativa. È quanto stabilito dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, con la sentenza n. 273/2021, dopo aver verificato attraverso una consulenza tecnica svolta dal personale sanitario del Mministero della Difesa, che al momento del decesso della madre, il richiedente era «portatore di handicap in situazione di gravità». Circostanza, questa, non sufficiente per accedere al beneficio erogato dall'Inps perché afferente a un contesto giuridico diverso da quello attuale previsto per la verifica dei requisiti medico-legali necessari per accedere ai benefici in argomento (pensione di reversibilità quale orfano maggiorenne).

Secondo il giudice contabile, infatti, imprescindibile per la concessione della pensione di reversibilità per gli orfani maggiorenni è l'accertamento, risultante alla data del decesso del dante causa, della condizione di «inabilità assoluta e permanente a svolgere qualsiasi attività lavorativa» remunerata, non soltanto di natura intellettuale ma neanche di natura prettamente manuale, che non gli consente di assicurargli idonei mezzi di sostentamento (articolo 8 della legge n. 222 del 1984). Si tratta di un concetto diverso e più restrittivo rispetto al previgente requisito della «inabilità a qualsiasi proficuo lavoro», previsto dall'articolo 82 del Dpr n. 1092 del 1973 abrogato dopo l'entrata in vigore della legge 222/1984.

Osserva, altresì, la Corte dei conti che la qualificazione di «persona portatrice di handicap» ai sensi della lelgge n. 104 del 1992 non esclude a priori la circostanza che residuino capacità positive del soggetto al fine di consentirne il migliore inserimento all'interno della società. E anzi, la stessa legge n. 104 espressamente prevede misure volte a favorire l'ingresso del disabile nel mondo del lavoro e dello studio. Prosegue sempre la sentenza in commento nel rilevare che al quadro normativo descritto, si aggiungono le ulteriori disposizioni dell'ordinamento giuridico di favore e a titolo esemplificativo quelle mirate al collocamento obbligatorio delle persone disabili.

Ne deriva che la situazione di disabilità grave non è condizione sufficiente a determinare l'inabilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa. Quest'ultima è ipotesi residuale, che va accertata in base al caso concreto e la quale soltanto giustifica che la collettività intervenga a farsi carico del sostentamento del soggetto orfano di pubblico dipendente. Il che equivale ad affermare che per ottenere il riconoscimento della pensione indiretta in qualità di orfano maggiorenne, il richiedente per effetto delle infermità di cui è portatore, deve risultare completamente escluso dal mondo del lavoro, indipendentemente da fattori ambientali e socio economici, e a prescindere dalle proprie attitudini e dalla propria formazione culturale e professionale. Dalla relazione medico legale, invece, è emerso che il soggetto è idoneo a svolgere una qualche attività lavorativa e che, quindi, alla data del decesso della madre il medesimo poteva (e può tuttora) introdursi nel mondo del lavoro, sia in ambito pubblico e sia in quello privato, pur con mansioni limitate rispetto ad un eventuale impegno fisico e, quindi, senza usura delle residue energie fisiche.

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