Amministratori

Rifiuti abbandonati, responsabile anche il Comune se rimane inattivo

Il Consiglio di Stato ha dichiarato l'illegittimità di un'ordinanza sindacale di ripristino dello stato dei luoghi

di Maria Luisa Beccaria

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7657/2020, ha dichiarato l'illegittimità di un'ordinanza sindacale di ripristino dello stato dei luoghi perché non era stata accertata la condotta dolosa o colposa del proprietario.

Nel caso esaminato un'area nel territorio di Roma Capitale, era stata occupata senza titolo per anni da uno stabile accampamento di nomadi ed era stata in parte ricoperta da svariati rifiuti. La società proprietaria ha impugnato l'ordinanza con cui il Comune di Roma le ha ordinato di rimuovere i rifiuti, in base agli articoli 14 e 50 del Dlgs 22/1997 (ora articolo 192, comma 3, del Dlgs 152/2006) chiedendone l'annullamento perché l'accumulo dei rifiuti era addebitabile a terzi, ma anche il risarcimento dei danni, per il mancato tempestivo intervento del Comune, che non avrebbe impedito l'accumulo dei rifiuti sul suo terreno.

Secondo i giudici non è esigibile dal proprietario l'onere di diligenza consistente nella implementazione di un costoso sistema di video-sorveglianza e nella recinzione del suolo. Per la giurisprudenza la colpa si configura quando il proprietario poteva prevedere e prevenire l'illecito, con un comportamento improntato a diligenza media, da valutare secondo parametri di ragionevole esigibilità. Per questa ragione è stata esclusa la colpa anche quando l'attivazione di un servizio permanente di vigilanza, impegnativo quanto a risorse umane e finanziarie, avrebbe con alta probabilità impedito l'abbandono di rifiuti.

In realtà, l'articolo 192, comma 3, del Dlgs 152/2006 prevede un illecito ambientale tipizzato e la responsabilità solidale del proprietario del suolo con l'autore dell'illecito solo se il primo abbia tenuto una condotta dolosa o colposa.

Nemmeno la mancanza di una recinzione costituisce per il Consiglio di Stato prova della colpevolezza della proprietaria, perché il recintare è una facoltà e non un obbligo. Inoltre essa non era tenuta a proporre una azione di reintegra poiché la presenza di un insediamento abusivo di nomadi richiedeva l'intervento della forza pubblica. Il comportamento della società è stato quindi diligente in quanto non potendosi fare giustizia da sé, essa ha segnalato più volte l'illegittima occupazione.

Alla fine i giudici hanno affermato che alla responsabilità dei nomadi si affianca, secondo l'articolo 2050 del codice civile, quella del Comune che, pur informato, non è intervenuto ma ha imposto alla proprietaria il costo della bonifica. Il Comune, la cui condotta è stata concausa diretta del danno, è stato condannato a pagare le spese conseguenti all'attività di pulizia del fondo. Però non è stato riconosciuto il danno conseguente alla radicale indisponibilità del terreno, che non è stato provato dalla società ed è stato prodotto dalla condotta delittuosa dei nomadi. In presenza di altrui fatti illeciti, accertati in sede giurisdizionale penale, l'Amministrazione comunale non risponde pertanto per i danni, sofferti dal proprietario.

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