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Rifiuti, la nuova ondata di fusioni mira ad acquisire solo tecnologie

Il rapporto Was fotografa come evolvono le aziende: know how e produzione

di Jacopo Giliberto

Non tutti se ne sono ancora accorti. Il settore dei rifiuti in questi anni è cambiato in modo profondo. Da società di servizi le aziende diventano società di produzione industriale e di tecnologia. Fino a qualche anno fa l’attività delle aziende di nettezza urbana era gestire la spazzatura spostandola dai luoghi di produzione (il bidone) ai luoghi di smaltimento (la discarica). Le fusioni e le acquisizioni che avevano portato ai grandi accorpamenti soprattutto al Nord erano “orizzontali” e le aggregazioni allargavano l’estensione territoriale dello stesso servizio.

Ora invece è in corso un’ondata di accordi e investimenti “verticali”. Si acquistano attività di tecnologia, si integrano segmenti di business una volta diversi come con l’energia o con la chimica, si formano accordi di licenza, si avviano impianti. Il fenomeno è stato rilevato dal Was Report, rapporto annuale di Was Waste Strategy dell’Althesys guidata dall’economista Alessandro Marangoni. Ma conferme vengono anche da uno studio condotto dagli analisti del Ref e da una ricerca di Utilitalia, l’associazione delle aziende di servizi pubblici locali.

Le cronache economiche

A titolo di esempio del fenomeno sarebbero sufficienti le cronache economiche più fresche che riguardano due aziende dell’Alta Italia, la Hera e l’A2A.

Caso Hera: forma una società mista con l’Eni per i rifiuti industriali di Ravenna e tramite la controllata Aliplast ha raggiunto un accordo con la Maire Tecnimont per riciclare le plastiche usate.

Caso A2A: si allea con l’Ardian per progettare e costruire un impianto che produca idrogeno verde da fonti rinnovabili d’energia mentre a Bedizzole vuole produrre metano dai rifiuti fermentabili al posto dell’attuale compost agricolo (contrari la Provincia di Brescia e i comitati del no).

E poi c’è chi trasforma i rifiuti organici in metano e lo immette nelle sue condutture del gas; chi fa fermentare i fanghi dei depuratori per produrre un combustibile per auto e bus, chi esporta la plastica usata nelle acciaierie estere al posto del carbon coke.

«Le convergenze sviluppate dalle utility con settori diversi sarebbero state impensabili anche solo qualche anno fa», osserva Marangoni di Althesys. «L’innovazione tecnologica in un’ottica di economia circolare è lo strumento che sta cambiando il volto all’intero comparto».

Numeri e investimenti

Secondo lo studio Was, nel 2019 le maggiori 230 aziende della gestione dei rifiuti hanno registrato un valore di produzione pari a 11,7 miliardi di euro, con un aumento dei rifiuti gestiti (+6,4%) e degli investimenti (+4,1%), rispetto al 2018. Crescono anche gli investimenti (+4,1% rispetto al 2018), pari a circa 535 milioni di euro.

Il Mezzogiorno penalizzato

Le norme e la burocrazia, le strategie pubbliche e gli annunci dei politici continuano a guardare ancora indietro, a un passato fatto di luoghi comuni. Nell’analisi «La gestione dei rifiuti come leva per il rilancio del Sud», Andrea Ballabio, Donato Berardi e Nicolò Valle del centro studi Ref rilevano che viene bocciata dai burocrati ogni proposta del Mezzogiorno di uscire dalla schiavitù della discarica e degli impianti Tmb; indicativo il no del Governo a ogni proposta della Sicilia di dotarsi di impianti moderni. «La somma dei deficit di smaltimento e avvio a recupero di queste zone è quantificata in quasi 2 milioni di tonnellate l’anno», scrivono.

E secondo Utilitalia per raggiungere gli obiettivi Ue in 15 anni vanno costruiti impianti per trattare 5,7 milioni di tonnellate di rifiuti, per esempio almeno 30 impianti per il trattamento dell’organico e per il recupero energetico delle frazioni irriciclabili. Chi paga? Risponde Utilitalia: «A pagare sono i cittadini proprio laddove il servizio è peggiore».

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