Il CommentoFisco e contabilità

Rifiuti urbani, rischio comunitario e costituzionale per le nuove regole

di Roberto Lenzu

La qualificazione di rifiuto urbano contenuta nell'articolo 183, comma 1, lettera b-ter), del Dlgs 152/2006, come modificato dall'articolo 1, comma 9, del Dlgs 116/2020, pone la questione della conformità della stessa rispetto alla medesima qualificazione contenuta nell'articolo3, paragrafo 1, lettera 2-ter), della direttiva europea n. 2008/98 sui rifiuti, modificata dalla direttiva europea n. 2018/851. In particolare, in base all'articolo 183, come modificato dal Dlgs 116/2020, sono qualificabili rifiuti urbani, quelli speciali «indicati nell'allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell'allegato L-quinquies».

Ai fini della qualificazione di rifiuto urbano rileva non solo la condizione oggettiva della natura e della composizione dello stesso ma anche la qualificazione soggettiva del produttore del rifiuto in ragione dell'attività produttiva svolta nell'ambito della quale il rifiuto è stato prodotto. Diversamente, la normativa comunitaria qualifica rifiuti urbani quelli speciali assimilati ai rifiuti domestici unicamente in ragione della natura e della composizione del rifiuto, ovvero in ragione della qualità oggettiva, a prescindere dal soggetto o dall'attività in occasione della quale il rifiuto è stato prodotto. In base all'articolo 3 e al considerando n.10 della Direttiva n. 2018/851, sono considerati rifiuti urbani, indipendentemente da chi li produce, le tipologie classificabili nella categoria 15 01 (imballaggi) e 20 (rifiuti urbani) a eccezione dei codici 20-02-02, 20-03-04 e 20-03-06 dell'elenco dei rifiuti stabilito dalla decisione 2014/955/Ue della Commissione europea nella versione in vigore il 4 luglio 2018; nonché le tipologie di rifiuti urbani sottoposti a trattamento contrassegnati con i codici di cui al categoria 19 (rifiuti prodotti da impianti di trattamento) del citato elenco.

Nella logica della normativa comunitaria sui rifiuti, l'approccio pragmatico nella qualificazione dei rifiuti, fondato su detto criterio oggettivo, trova rafforzamento nella Comunicazione della Commissione Europea n. 2018/C/124/1 (Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti). A parere di chi scrive tale difformità trova giustificazione nel fatto che il legislatore delegato italiano ha inteso cogliere l'occasione in sede di (ri)qualificazione del rifiuto urbano per (ri)perimetrare indirettamente, attraverso il criterio dell'assimilazione, l'estensione della privativa pubblica comunale in materia di servizio di gestione dei rifiuti. Il Dlgs 116/2020 non ha invece modificato direttamente la competenza in materia di gestione dei rifiuti urbani che continua a essere riservata alla privativa pubblica comunale secondo l'articolo 198 e seguenti del Dlgs 152/2006, quale funzione fondamentale degli stessi in base all'articolo14, comma 27, del Dl 78/2010 convertito dalla legge n. 122.

Così agendo, però, il legislatore italiano rischia di essere incorso in una difformità rispetto alla normativa eurounitaria sui rifiuti di non poco rilievo. Infatti, la qualificazione dei rifiuti (e quindi anche quella dei rifiuti urbani) costituisce la base imprescindibile di un sistema, omogeneo e condiviso tra tutti gli Stati aderenti, di raccolta, monitoraggio e controllo efficace di dati affidabili e raffrontabili ai fini di verificare i progressi di ciascuno Stato nel perseguimento degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e di riciclaggio dei rifiuti posti dalla medesima direttiva comunitaria. In altri termini la condivisa e omogena qualificazione dei rifiuti costituisce l'architrave per l'attuazione dei principi-mantra della gerarchia dei rifiuti e dell'economia circolare ritenuti funzionali a perseguire gli obiettivi stabiliti dalle citate direttive comunitarie a salvaguardia della tutela dell'ambiente e della salute umana. Del resto, il recepimento nel nostro ordinamento della citata qualificazione comunitaria dei rifiuti urbani costituisce criterio direttivo specifico della delega legislativa contenuto nell'articolo 16, comma 1, lettera c), della legge 117/2019.

A ciò si aggiunga che la riperimetrazione del servizio pubblico di gestione dei rifiuti non sembra supportata dai criteri direttivi contenuti nella citata legge delega. Riperimetrazione peraltro che incide sull'esercizio di una funzione fondamentale dei Comuni che avrebbe quanto meno reso necessaria, al fine di fugare dubbi di legittimità costituzionale, la previsione del coinvolgimento degli stessi in sede di Conferenza unificata Stato Regioni e autonomie locali, in ossequio al principio di leale collaborazione affermato nella stessa legge delega. Ragion per cui alla criticità di non conformità al diritto comunitario della qualificazione disposta dal Dlgs 116/2020 si sommano i dubbi di tenuta costituzionale del medesimo decreto quanto meno sotto il profilo dell'eccesso di delega. A fronte di quanto esposto, si pone il problema per gli enti territoriali coinvolti dell'immediato rispetto delle citate disposizioni comunitarie; tanto più se le stesse dovessero ritenersi self executing e quindi immediatamente precettive per quanto riguarda la qualificazione di rifiuto urbano. Come è facilmente immaginabile si tratta di una questione di non poco conto considerate le conseguenze in termini di perimetrazione, di organizzazione e di costi del servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani e di estensione applicativa della tassa rifiuti in termini di categorie di utenti e di superfici tassati.