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Riforma servizi pubblici locali, sulla separazione tra gestione delle reti e del servizio si poteva osare di più

INTERVENTO. Possibile separare in assenza di incompatibilità o divieti nella disciplina di settore. Ma è complicato valutare

di Danilo Tassan Mazzocco (*)

Il decreto legislativo n. 201/22, recante il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in vigore dall'ultimo giorno dell'anno appena trascorso, ripropone, all'interno dell'art. 21, un modello organizzativo imperniato sull'astratta separabilità tra:

a) gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali individuati come "essenziali"
b) gestione del servizio: la prima affidabile in maniera distinta, se così scelto dall'ente locale, rispetto alla seconda.

Una maggiore responsabilizzazione degli enti più prossimi al cittadino, in ossequio al principio di sussidiarietà verticale, o solo una timida "rivisitazione" dell'esistente, senza particolari guizzi o lanci in avanti? La verità sta sempre nel mezzo, ma di certo non sarebbe nuociuto un piglio più deciso da parte del legislatore delegato, che qui pare poco propenso a innovare, o anche semplicemente a rilanciare, a dare nuova linfa cioè, tramite semplificazioni o altri accorgimenti, a quell'assetto gestionale potenzialmente bifasico che, prefigurato da anni nel nostro ordinamento, stenta da sempre a farsi strada nella prassi applicativa.

La disciplina posta dal terzo comma dell'articolo 21 cit. («Fermo restando quanto stabilito dalle discipline di settore, la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali può essere affidata separatamente dalla gestione del servizio (…)» trova il proprio antecedente storico in una norma, oggi abrogata, contenuta nel terzo comma dell'articolo 113 del Tuel («Le discipline di settore stabiliscono i casi nei quali l'attività di gestione delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi pubblici locali di cui al comma 1 può essere separata da quella di erogazione degli stessi (…)»).

Fino a tutto il 2022 la possibilità di separazione doveva essere esplicitamente prevista dalle discipline di settore (tenute a "stabilire i casi"); oggi, invece, la separazione può sì essere decisa dall'ente locale, ma ancora non in completa autonomia, posto che l'inciso «fermo restando quanto stabilito dalle discipline di settore» pare voler significare che in tanto è possibile optare per la separazione, in quanto ciò non sia, in un modo o nell'altro, precluso dalla regolamentazione settoriale.

Ieri, la possibilità, per gli enti locali, di operare una separazione tra gestioni (delle reti e del servizio) era normativamente condizionata al fatto che, nella disciplina di settore di volta in volta rilevante, fosse rintracciabile una norma che tale separazione consentisse, almeno astrattamente. Con la conseguenza che, in assenza di una norma di tal contenuto, di una norma positiva cioè, o, per essere ancora più precisi, in assenza di una norma ricognitiva a contenuto positivo, tracciante l'elenco dei casi di legittima separazione, nessuna "disgiunzione gestionale" poteva essere autonomamente introdotta dall'ente locale.

Ora la prospettiva pare ribaltata: il soggetto affidante è in generale autorizzato a separare la gestione delle reti dalla gestione del servizio, incontrando solo un limite negativo: non vi deve essere, nella disciplina di settore, una norma che questa possibilità espressamente escluda, oppure, più in generale, detta separazione non deve risultare incompatibile con il modello di gestione disegnato da una determinata disciplina settoriale, destinata a prevalere. Detto in altri termini, la separazione, nella vecchia norma, era in generale vietata, se non contemplata, in termini espressi, dalle discipline di settore; nella nuova, invece, sembra affermato il principio opposto: la regola coincide con la possibilità di tenere distinta la gestione delle reti dalla gestione del servizio (se così decidono gli anti affidanti), l'eccezione è invece rappresentata dal divieto di operare detta separazione, che sia del caso previsto, o in altro modo deducibile, dalle normative di settore.

Basta questo a rilanciare la possibilità di separazione, conosciuta in Italia da ormai un ventennio? È lecito coltivare qualche dubbio al riguardo. Il vecchio testo, infatti, nell'affidare alle normative di settore il compito di "stabilire i casi" in cui la separazione tra gestione delle reti e gestione del servizio poteva dirsi consentita, semplificava la vita all'interprete: si trattava di cercare, nella disciplina di settore, una norma che ammettesse detta separazione. La mancanza di una norma siffatta equivaleva, evidentemente, a diniego di autorizzazione. Ma almeno era chiara e lineare la direzione in cui volgere la ricerca (verso una norma, appunto, avente contenuto e portata autorizzativa). Oggi è invece chiesto di scavare nella disciplina di settore per poi esprimere un giudizio di compatibilità. Mica semplice.

La clausola di salvezza («fermo restando quanto stabilito dalle discipline di settore») rende più impegnativo il compito dell'interprete, non lo semplifica. Se è vero che l'ente locale può in generale "separare", che cosa può impedire una simile decisione? Non più, come nel passato, solo una norma che ponga a ciò divieto, o che comunque non autorizzi espressamente. Oggi, a impedire la separazione può anche essere una generale "incompatibilità" tra le due diverse discipline (generale e settoriale). Va insomma effettuata una ricognizione della complessiva disciplina di settore per poi trarre da essa un modello di gestione, di cui deve valutarsi la compatibilità o non con un assetto, a livello locale, che separi la gestione delle reti dalla gestione del servizio.

Un esempio può aiutare a comprendere. La disciplina fondamentale del servizio idrico è contenuta nel Dlgs n. 152/06. Il Codice dell'ambiente non dice espressamente che, nell'ambito dell'idrico, si possa "separare": ieri ciò era decisivo, se una norma positiva contenuta nella disciplina di settore non autorizzava espressamente, l'ente locale non poteva separare, discorso chiuso. Oggi la questione è più complessa. Il silenzio nella normativa di settore, quando la possibilità di separare diventa la regola, non può avere la stessa valenza significativa che il medesimo aveva quando regola era invece il divieto di separare.

Quel «fermo restando» che si legge nel terzo comma dell'articolo 1 in esame obbliga l'interprete a una disamina più completa. Il fatto che non ci sia un divieto espresso è sicuramente un indizio. Non basta, però. Occorre anche considerare se la normativa di settore non contenga un divieto implicito. E un divieto implicito può in effetti trarsi dalla disciplina del servizio idrico che, al secondo comma dell'art. 147 del Codice dell'ambiente, pone, quale principio fondativo del settore, quello di unicità di gestione per ciascun ambito territoriale ottimale, principio che non sembra compatibile con un assetto locale in cui la gestione delle infrastrutture idriche (con il compito di realizzare investimenti ed effettuare la manutenzione di condotte e impianti) sia affidata a un soggetto diverso da quello che invece eroghi il servizio (intrattenendo il rapporto più propriamente "commerciale" con l'utente finale).

(*) Partner SZA Studio legale

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