Rigenerazione urbana, fondi per la mobilità dalla «monetizzazione» dei parcheggi pertinenziali
Il Ddl in discussione al Senato prova a superare i rigidi standard della legge Tognoli: innovazione utile, ma ancora troppo timida
Tra le novità del Ddl sulla Rigenerazione urbana in discussione in Senato c'è sicuramente quella che riguarda gli obblighi di reperimento dei parcheggi pertinenziali. Il nuovo testo prevede, infatti, che nelle aree oggetto degli interventi di rigenerazione urbana, previa valutazione urbanistica e apposita votazione in consiglio comunale, i Comuni possano ridurre la dotazione obbligatoria di parcheggi al servizio delle unità immobiliari fino al 50 per cento, a fronte della corresponsione di una somma equivalente al valore medio di mercato di un parcheggio pertinenziale nella medesima zona da parte dei soggetti interessati dalla misura. Le somme così introitate dal Comune dovranno poi essere destinate all'implementazione della mobilità collettiva e leggera.
La proposta prevede inoltre che la percentuale di riduzione della dotazione obbligatoria di parcheggi possa essere elevata fino al 90 per cento nelle aree servite da snodi del trasporto rapido di massa. Si tratta di una formulazione molto diversa rispetto a quella originariamente contenuta nella prima stesura del Ddl, la quale, pur introducendo la medesima facoltà per i Comuni di ridurre la dotazione di parcheggi, la limitava al solo 10 per cento della quota obbligatoria, prevedendo inoltre un generico vincolo di destinazione dei proventi della monetizzazione alternativa alla realizzazione di opere di urbanizzazione nell'ambito oggetto di rigenerazione urbana, senza uno specifico riferimento all'incentivo della mobilità sostenibile.
Con il nuovo testo, invece, la discrezionalità concessa ai Comuni nella determinazione della quota di parcheggi monetizzabile risulta notevolmente più ampia e, in presenza di particolari condizioni, può arrivare ad interessare la quasi totalità (fino al 90 per cento) dell'obbligo minimo di reperimento. Oltre a questo, la nuova formulazione appare anche più aderente ed esplicita nel sostenere la finalità ambientale alla quale è ispirata, nella misura in cui vincola la destinazione delle risorse economiche derivanti dalla monetizzazione dei parcheggi non reperiti all'implementazione della mobilità collettiva e leggera (e non, genericamente, alla realizzazione di opere di urbanizzazione).
Possiamo dire di essere dinanzi a un primo passo a livello nazionale verso il superamento dell'impostazione rigida della c.d. legge Tognoli (l. 122/1989) che, come noto, definisce la quantità minima di spazi a parcheggio da reperire in tutti i casi di nuova costruzione, senza tuttavia prevedere espressamente deroghe o possibilità di ricorso a forme di monetizzazione alternativa. Anche se si tratta di una mera facoltà per le amministrazioni comunali, esercitabile peraltro in specifici casi ed entro limiti determinati, la proposta merita di essere guardata con attenzione per la sua portata innovativa.
Infatti, la ferrea applicazione della legge Tognoli (finora sempre confermata anche dalla giurisprudenza in materia), operata a prescindere da ogni valutazione delle peculiarità del territorio interessato dall'intervento e dall'offerta di trasporto pubblico esistente, ha spesso rischiato di frenare il contributo dell'edilizia privata alla realizzazione dell'auspicato cambio di passo verso forme alternative di mobilità condivisa e sostenibile, nell'ottica di una vera rigenerazione urbana. D'altro canto si tratta di una disciplina ancorata a logiche urbanistiche ed esigenze di un mercato immobiliare (era l'anno 1989) radicalmente diverse da quelle attuali e certamente non allineate alle più recenti politiche di tutela ambientale e agli obiettivi che, anche sul piano internazionale, ci si è impegnati a raggiungere (si pensi al Piano per la transizione ecologica-Pte e al Piano nazionale di ripresa e resilienza-Pnrr, ma anche all'Agenda Onu 2030 nonché al Green Deal europeo).
Se il Ddl venisse approvato conservando l'attuale formulazione del testo, gli interventi eseguiti in attuazione della programmazione comunale di rigenerazione urbana e nel perimetro delle aree a tal fine individuate, anche nel caso – più pervasivo – di ristrutturazione urbanistica – ovvero di sostituzione dell'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi – potrebbero per l'effetto:
- reperire un numero di parcheggi pertinenziali correttamente dimensionati allo sviluppo;
- contribuire concretamente allo sviluppo della mobilità sostenibile, grazie al vincolo di destinazione delle somme che verrebbero versate al Comune a fronte della riduzione degli obblighi di reperimento di parcheggi.
Sebbene si tratti di una novità senza dubbio apprezzabile, la portata della norma appare tutto sommato limitata e poco coraggiosa per almeno due motivi. In primo luogo, infatti, si tratta di una previsione meramente derogatoria rispetto a un impianto normativo generale che non viene messo in discussione, per di più applicabile solo all'interno delle aree individuate ai sensi del medesimo Ddl per l'attuazione di interventi di rigenerazione urbana e non in via generale all'intero territorio comunale. Siamo, cioè, ancora lontani dalla volontà di rivedere dalle fondamenta il tema della dotazione di parcheggi privati nell'ambito degli sviluppi immobiliari, individuando una disciplina nuova valida per la generalità degli interventi edilizi e non solo per alcune aree.
In secondo luogo, la norma introduce una mera facoltà che i Comuni potrebbero decidere di non sfruttare, nemmeno in presenza delle adeguate condizioni urbanistiche oppure della volontà del privato di farsi carico della realizzazione di opere pubbliche di implementazione della mobilità sostenibile, nel contesto dell'intervento di rigenerazione in programma. Sappiamo infatti che molto spesso la mera riserva di una facoltà derogatoria comporta l'ingenerarsi di comportamenti contraddittori tra diverse amministrazioni, frequentemente dovuti a logiche di minor rischio.
Nonostante la significativa apertura, quindi, se si vuole dare un'attuazione concreta e decisa alle politiche di sostenibilità ambientale occorre un generale ripensamento della disciplina urbanistica ed edilizia applicabile ad ogni operazione di sviluppo e riqualificazione del territorio. In questo senso, resta l'auspicio che la strada imboccata venga seguita anche dal Governo, al quale il medesimo Ddl delega il riordino complessivo della disciplina delle costruzioni, e prima ancora dalla Commissione per la riforma della normativa nazionale in materia di pianificazione del territorio, standard urbanistici e in materia edilizia recentemente istituita dal ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili proprio «per contribuire alla riforma organica dei principi della normativa in materia di pianificazione del territorio e standard urbanistici, nonché di riordino e modifica delle disposizioni del Testo unico dell'edilizia».