Fisco e contabilità

Rigenerazione urbana, dal Mef nuovi fondi per i 551 progetti esclusi

In arrivo un’integrazione per una parte dei piani promossi e non finanziati

di Gianni Trovati

Al ministero dell’Economia si è aperta anche la caccia ai fondi per completare il finanziamento dei progetti di rigenerazione urbana. Anzi, più di una voce filtrata dai muri spessi della Ragioneria indica che la ricerca è a buon punto. E che una fetta importante dei 900 milioni mancanti alle iniziative comunali per la riqualificazione di edifici e aree nelle periferie sarebbe già stata individuata nelle sempre feconde «pieghe del bilancio». Il ricostituente potrebbe spuntare nel prossimo decreto sui ristori o, più probabilmente, in Parlamento con la conversione in legge.

Il problema è quello dei 541 progetti, per il 93% presentati dalle città del Nord, che sono stati promossi ma non sono stati finanziati nel decreto del Viminale. Il Dm ha distribuito i 3,4 miliardi destinati dalla manovra 2020 al filone che si è poi configurato come l’antipasto del Pnrr per gli enti locali. I soldi coprono 1.748 opere in 483 Comuni, lasciando a secco appunto 541 progetti che pure avevano superato l’esame di ammissibilità.

La lista ha incendiato una mezza rivolta fra i sindaci del Nord, soprattutto nei centri medi e piccoli (dai 15mila abitanti in su) per i quali spesso la «rigenerazione urbana» è la porta d’accesso principale se non unica alla galassia Pnrr. Perché la graduatoria è stata costruita in base all’indice di «vulnerabilità sociale e materiale», che considera il disagio economico e assistenziale, la disoccupazione giovanile, l’incidenza di famiglie numerose o persone con basso titolo di studio, e così via. E l’indice, unito alla clausola che garantisce alle regioni meridionali uno stanziamento «almeno proporzionale» alla popolazione, ha accorciato la coperta a Nord. Il dato non sorprende se si considerano gli obiettivi di «coesione» territoriale alla base dei fondi. Ma è bastato a muovere un mezzo terremoto.

In Parlamento la questione è stata raccolta soprattutto dal centro-destra. In particolare Roberto Pella, deputato di Fi e vicepresidente dell’Anci, ha promosso un ordine del giorno approvato alla Camera con la manovra che chiede al governo di completare il finanziamento. E la stessa richiesta è stata avanzata dalla Lega con la prima mozione 2022 firmata da Massimo Bitonci e dagli altri deputati veneti. Almeno ufficialmente la spaccatura Nord-Sud non ha scosso l’Anci, che da mesi preme sul governo per risolvere il problema: la scorsa settimana il sindaco di Bari Antonio Decaro, che guida l’Associazione, ha firmato con il suo collega all’Upi Michele de Pascale e con il presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga una lettera con la richiesta di mettere sul piatto i 900 milioni mancanti.

La spinta insomma è trasversale. E dovrebbe portare a un rifinanziamento a stretto giro. Una mano, dopo la fine di marzo, potrebbe poi arrivare dal fondo da 300 milioni creato dalla manovra per i Comuni più piccoli in associazione, che potrebbe restare in parte inutilizzato. Altri soldi potrebbero spostarsi dai Comuni titolari di progetti ammessi con riserva che si dimenticassero di inviare le integrazioni dei dati entro oggi. Ma non è questa la via caldeggiata dai sindaci.

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