Appalti

Risoluzione del contratto per inadempimento, non serve il parere del Collegio consultivo tecnico

Consiglio di Stato: anche dopo l'introduzione degli "arbitri di cantiere" si tratta di una decisione che rientra nell'autonomia della stazione appaltante

di Roberto Mangani

Ai fini della dichiarazione da parte dell'ente appaltante della risoluzione del contratto di appalto per grave inadempimento dell'appaltatore non è richiesto il preventivo parere del Collegio consultivo tecnico. Infatti, anche dopo l'introduzione di questo istituto ad opera del decreto legge 76/2020 (decreto Semplificazioni) la risoluzione per inadempimento è disposta dall'ente appaltante nell'ambito della sua piena autonomia decisionale, nell'esercizio dei poteri negoziali che le spettano all'interno del rapporto privatistico con l'appaltatore che contraddistingue la fase esecutiva dell'appalto.

Sotto il profilo giurisdizionale, ciò implica che eventuali contestazioni in merito all'esercizio del diritto di risoluzione restano di competenza esclusiva del giudice ordinario, senza che possa essere invocato l'intervento del giudice amministrativo in merito alla mancata costituzione del Collegio o al mancato riconoscimento di competenze ritenute proprie di quest'ultimo. Sono questi i principi affermati in una recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2022, n. 4650, che offre un'importante chiave interpretativa sulla natura e sui limiti delle competenze proprie del Collegio consultivo tecnico.

Il fatto
Un ente appaltante aveva indetto una procedura di gara per l'affidamento dei lavori di restauro conservativo di edifici monumentali. A seguito dell'aggiudicazione e della conseguente stipula del contratto con l'affidatario sorgevano alcune contestazioni in merito all'erogazione dell'anticipazione, che comportavano un sostanziale mancato avvio dei lavori.

A fronte di questa situazione l'ente appaltante avviava la procedura di risoluzione del contratto per grave inadempimento dell'appaltatore ai sensi dell'articolo 108 del D.lgs. 50/2016, sulla base della relazione del direttore lavori che imputava allo stesso imperizia e gravi carenze esecutive. La procedura si concludeva, una volta acquisite le controdeduzioni dell'appaltatore, con la determina di risoluzione per inadempimento adottata dall'ente appaltante, fondata su un ritenuto grave e plurimo inadempimento dell'appaltatore. Quest'ultimo impugnava la determina davanti al giudice amministrativo deducendo la ritenuta violazione degli articoli 5 e 6 del Decreto legge 76/2020 relativi alla nomina e alle competenze del Collegio consultivo tecnico, istituto introdotto dalle richiamate disposizioni. Nello specifico il ricorrente lamentava la mancata costituzione del Collegio da parte dell'ente appaltante e il conseguente mancato intervento dello stesso nel procedimento volto alla sostituzione dell'appaltatore.

Il Tar Campania dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Ciò in applicazione del principio generale in tema di riparto di giurisdizione secondo cui tutte le questioni relative alla risoluzione del contratto, attenendo alla fase esecutiva dello stesso, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. Questo principio non subisce alcuna modifica in relazione alle eventuali attribuzioni definite dalle nuove disposizioni a favore del Collegio consultivo tecnico, che anche qualora fossero riconosciute effettivamente esistenti non inciderebbero sulla natura giuridica e sui contenuti dell'atto di risoluzione del contratto, che resta un atto emanato nell'esercizio di un diritto soggettivo di tipo privatistico e non espressione di un potere autoritativo dell'ente appaltante. Da qui la naturale conseguenza in ordine alla giurisdizione sulle relative controversie, che non può che essere del giudice ordinario con la relativa dichiarazione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.Contro questa decisione di primo grado l'originario ricorrente ha proposto appello al Consiglio di Stato.

Risoluzione del contratto e attribuzioni del Collegio consultivo tecnico
Nel proporre appello al Consiglio di Stato l'appellante non contesta in alcun modo il tradizionale principio in tema di riparto di giurisdizione in base al quale tutte le controversie intervenute dopo la stipula del contratto, riguardando la fase esecutiva dell'appalto e quindi coinvolgendo diritti soggettivi, sono di competenza del giudice ordinario. Tuttavia lo stesso appellante ritiene che nel caso di specie la questione in merito all'individuazione del giudice competente non possa essere risolta tramite una mera applicazione di tale principio. Ciò che infatti l'appellante contesta è la presunta violazione da parte dell'ente appaltante delle norme che regolano l'istituzione e le competenze del Collegio consultivo tecnico (articoli 5 e 6 del Decreto legge 76/2020).

Infatti, la corretta applicazione di tali norme avrebbe comportato che l'ente appaltante non avrebbe potuto più dichiarare la risoluzione del contratto di appalto in via autonoma e nel pieno esercizio della sua autonomia negoziale, ma avrebbe dovuto seguire l'iter procedurale delineato dalle stesse. Conseguentemente avrebbe dovuto procedere alla costituzione del Collegio e successivamente sottoporre allo stesso la prospettata ipotesi di risoluzione contrattuale, potendo procedervi solo dopo aver acquisito dal medesimo Collegio il relativo parere.

Sulla base di questa ricostruzione, l'iter che porta all'eventuale risoluzione contrattuale comporterebbe la presenza di un segmento procedimentale in cui vengono esercitati poteri di natura autoritativa rispetto ai quali l'appaltatore sarebbe in una posizione di interesse legittimo. Da qui la ritenuta sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.

La decisione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha respinto questa tesi. In via preliminare il giudice d'appello ha ricordato che la normativa introdotta dal decreto legge 76/2020 ha previsto che l'istituzione del Collegio consultivo tecnico abbia carattere obbligatorio solo per gli appalti di lavori di importo superiore alla soglia comunitaria, mentre per quelli sottosoglia vi è una semplice facoltà. Posto che nel caso d specie si tratta di appalto sottosoglia e che il Collegio non è stato costituto, questo argomento sarebbe di per sé dirimente per respingere l'appello.

Tuttavia il Consiglio di Stato non si ferma qui, ma sviluppa ulteriori argomenti che rappresentano la parte più interessante della pronuncia.In primo luogo viene evidenziato che, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legge 76 che si occupa della sospensione dei lavori, il Collegio è chiamato a esercitare una funzione consultiva rispetto a questa specifica tematica. Questa funzione quindi non è riconosciuta in relazione all'ipotesi di risoluzione contrattuale per inadempimento. Né appare invocabile la previsione del comma 4, secondo cui il parere del Collegio sarebbe richiesto nel caso in cui la prosecuzione dei lavori non possa procedere con l'appaltatore titolare del contratto. Secondo il giudice amministrativo, l'inciso in base al quale la prosecuzione dei lavori non sia possibile "per qualsiasi motivo" non può essere interpretato nel senso di ricomprendervi l'ipotesi di risoluzione per inadempimento, che ha una sua specificità del tutto distinta e non assimilabile alle ipotesi prese in considerazione dalla norma richiamata.

Diverse sono poi le altre funzioni attribuite al Collegio ai sensi del successivo comma 6. Esse si sostanziano nel fornire assistenza alle parti per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura che possono insorgere nel corso dell'esecuzione del contratto. Nell'esercizio di queste funzioni il Collegio adotta delle determinazioni che – salvo diversa ed esplicita volontà contraria manifestata in forma scritta dalle parti - hanno natura di lodo contrattuale irrituale ai sensi dell'articolo 808 - ter del Codice di procedura civile. Si tratta quindi di un'ipotesi di arbitrato irrituale che si sostituisce alla competenza del giudice ordinario nell'esame e risoluzione delle relative controversie.

In ogni caso – e cioè sia che si considerino le funzioni consultive delineate dall'articolo 5 che quelle decisorie previste dall'articolo 6 – le attribuzioni del Collegio consultivo non possono in alcun modo considerarsi modificative della natura e delle caratteristiche proprie del provvedimento di risoluzione del contratto per inadempimento, che mantiene la propria natura di atto adottato nell'esercizio dell'autonomia negoziale dell'ente appaltane in quanto titolare di un diritto soggettivo tipico della fase esecutiva dell'appalto. Con la naturale conseguenza che competente a decidere in merito a eventuali contestazione relative all'esercizio di tale diritto – e quindi della correttezza dell'atto di risoluzione – è esclusivamente il giudice ordinario.

Il ruolo del Collegio consultivo tecnico
La pronuncia del Consiglio di Stato offre un contributo importante ai fini di meglio delineare funzioni e ruolo del Collegio consultivo tecnico, anche considerando che si tratta di istituto ancora in fase di rodaggio e dai contorni non del tutto definiti.In particolare, il giudice amministrativo prefigura una bipartizione abbastanza netta tra le attribuzioni che il Collegio ha ai sensi dell'articolo 5 e quelle spettanti ai sensi dell'articolo 6 del decreto legge 76/2020. Nel caso dell'articolo 5, in cui le funzioni del Collegio si esplicano nell'ambito delle questioni attinenti alla sospensione dei lavori, le stesse si esauriscono in termini meramente consultivi. Il Collegio è chiamato a esprimere un parere in relazione ai provvedimenti di sospensione per le ragioni indicate nel medesimo articolo 5 ovvero per l'ipotesi di risoluzione del contratto per impossibilità di proseguire i lavori con l'attuale appaltatore ai sensi del comma 4 (ipotesi che tuttavia, come visto, non ricomprenderebbe la risoluzione per inadempimento).

Si tratta di un parere obbligatorio ma – in mancanza di una chiara indicazione normativa in questo senso – da ritenersi non vincolante. Peraltro, va evidenziato che in un caso specifico previsto dall'articolo 5 – sospensione per gravi ragioni di ordine tecnico – il Collegio assume una determinazione che sembra andare al di là del parere non vincolante, in quanto si risolve in una determinazione in merito alle modalità di prosecuzione dei lavori (comma 3). Diverse sono le attribuzioni del Collegio ai sensi dell'articolo 6. Relativamente alle contestazioni attinenti la fase esecutiva il Collegio assume vere e proprie determinazioni che di regola – e ciò salva diversa ed esplicita volontà delle parti – hanno contenuto decisorio, avendo natura ed effetti di lodo arbitrale irrituale.

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