Scuole italiane all'estero, le indennità spettano anche ai supplenti
Il docente italiano, per il periodo di lavoro prestato all'estero in qualità di supplente non residente, ha diritto a percepire le indennità riconosciute ai docenti a tempo indeterminato assegnati alla stessa sede, nella medesima misura ed alle stesse condizioni. Questo è quanto emerge dall’ordinanza della Sezione lavoro della Cassazione n. 12369/2020, con la quale i giudici di legittimità sottolineano con veemenza l’illogicità di una disparità di trattamento tra supplenti e insegnanti di ruolo.
Il caso
Oggetto della decisione è la mancata corresponsione, da parte del ministero degli Affari Esteri, delle indennità previste dal Testo unico in materia di istruzione (Dlgs 297/1994, articoli 658, 659, 661, 662 e 664) e dirette a compensare il disagio derivato dal trasferimento all'estero, nei confronti di un docente italiano, per il tempo in cui costui è stato impegnato come insegnante supplente in una scuola italiana all'estero. Il ministero giustificava l’assenza dell’esborso ritenendo che le pretese indennità fossero spettanti solo ai docenti assunti a tempo indeterminato per due fondamentali ragioni: perché solo costoro hanno superato un concorso pubblico, a differenza dei docenti a tempo determinato il cui impegno scade al termine dell'anno scolastico; e perché questi ultimi devono spostarsi all'estero solo per periodi brevi, a differenza dei docenti a tempo indeterminato che devono fronteggiare notevoli spese abitative e per la famiglie dovendosi trasferire all'estero per un lungo periodo.
La decisione
Dopo l’alternarsi dei verdetti di merito, la questione giunge in Cassazione, dove i giudici di legittimità stroncano nettamente la tesi del ministero. La Suprema corte risolve il caso attraverso un riepilogo dei principi che si sono affermati nel corso degli anni sul tema della parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato, di cui alla clausola 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE, che ampio risalto ha avuto proprio in relazione al settore scolastico. Ebbene, il Collegio ribadisce che in tale ambito vige il principio di non discriminazione e di parità di trattamento tra lavoratori a termine e di ruolo; che tale principio non può subire interpretazioni restrittive; che la parità di trattamento può essere negata solo in presenza di ragioni oggettive e giustificata da elementi precisi e concreti che contraddistinguono le modalità di lavoro. Nel caso di specie, gli elementi e le ragioni che possono portare alla deroga e, quindi, escludere il pagamento delle indennità richieste dal docente, non sussistono affatto. Il ministero, infatti, fa leva su elementi, quali il concorso pubblico e la durata limitata del trasferimento all'estero, estrinseci rispetto all'attività di insegnamento prestata dall'insegnante, che è del tutto identica a quella di un docente a tempo indeterminato. D'altra parte, fa notare la Suprema corte, l'indennità in questione non si riferisce alla ricostruzione della carriera e non è legata alla modalità di accesso all'impiego, ma è meramente correlata al disagio per il trasferimento all'estero, ovvero un «disagio che si verifica per entrambe le categorie di docenti».
L'ordinanza della Cassazione n. 12369/2020