Appalti

Servizi, l’incrocio di norme trascura l’in house

Corto circuito nei rimandi fra decreto di riordino, Tusp e Codice degli appalti

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di Stefano Pozzoli

Chi immagina il legislatore come un vecchio saggio è destinato ancora a rimanere deluso. La nuova occasione di sconforto è offerta dalla frammentata regolamentazione dell’inhouse providing, che pure è al centro della malevola attenzione pretesa dal Pnrr.

Dopo la riforma le norme sono suddivise in ben tre leggi: il Tusp (articolo 16, Dlgs 175/2016), il decreto di riordino dei servizi locali (articolo 17, Dlgs 201/2022) e il Codice appalti (articolo 7, Dlgs 36/2023).

Nel Codice appalti in teoria si rende più agile la giustificazione della congruità economica poiché «i vantaggi di economicità possono emergere anche mediante la comparazione con gli standard di riferimento della società Consip S.p.a. e delle altre centrali di committenza». Il tutto, però, è previsto solo per i servizi strumentali, in quanto il comma successivo precisa che l’affidamento in house di servizi locali di interesse economico generale è disciplinato decreto di riordino.

Nel Dlgs 201/2022, sui servizi locali a rilevanza economica si ammette che se, non a rete, possano essere affidati anche alle aziende speciali (articolo 14); si prevede una motivazione rafforzata per l’affidamento (articolo 17) e una serie di vincoli, quali 5 anni di affidamento come regola generale per i servizi non a rete (articolo 19), seppur derogabile; indicatori di efficienza e di qualità (articolio 7, 8 e 9) e oneri burocratici vari (articolo 30).

Ma sui requisiti dell'inhouse il decreto si limita a un rinvio, al Tusp e al Codice appalti. Infatti «gli enti locali e gli altri enti competenti possono affidare i servizi di interesse economico generale di livello locale a società in house, nei limiti e secondo le modalità di cui alla disciplina in materia di contratti pubblici e di cui al Dlgs 175 del 2016» (articolo 17. comma 1).

In una sorta di gioco dell’oca, occorre quindi tornare al (silente) Codice appalti o rivolgersi speranzosi al Tusp. Quest’ultimo, all’articolo 16, effettivamente regola l’in house providing, ma solo per le società, e tace, come ovvio visto il suo ambito di applicazione, sugli affidamenti ad altri organismi partecipati.

In sostanza quali sono, dunque, i requisiti che deve avere una azienda speciale, un’azienda consortile o una fondazione per ottenere un affidamento in house? Questi organismi, oltretutto, sono stati anche “liberati” da un’altra (utile) incombenza l’iscrizione all’elenco Anac. Con il nuovo Codice vengono meno anche le indicazioni su come calcolare la «produzione ulteriore», il famoso «80-20», che riguarda tutti gli organismi in house providing, rendendo necessario rivolgersi alle disposizioni comunitarie, per potersi orientare.

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