Amministratori

Sindaci, in manovra i fondi: l’indennità punta al raddoppio

Sul tavolo il parametro che aggancia i compensi a quelli dei governatori

di Gianni Trovati

La lotta contro i «tagli ai costi della politica» che ha incendiato il dibattito decennale sulle «caste» sembra al tramonto insieme ai partiti che con più intensità l’hanno cavalcata. E mentre la scena è occupata da questioni più serie, leggi e riforme possono tornare a occuparsi di temi considerati tabù fino a pochi mesi fa.

Così, mentre la riforma del Testo unico degli enti locali prova a rimettere in sesto le funzioni di Province e Città metropolitane e le gestioni associate dei piccoli Comuni, la manovra in arrivo promette di rimettere mano alle indennità dei sindaci. Congelate da talmente tanto tempo che le norme sui compensi degli amministratori locali parlano ancora il linguaggio delle vecchie lire. Senza l’aggiustamento triennale al costo della vita, previsto dalla legge ma mai attuato, che in questi 20 anni si è mangiato il 34,2% delle cifre decise nel 2000. Un adeguamento anzi c’è stato, al ribasso, con il taglio del 10% introdotto dalla Finanziaria 2006 (legge 266/2005, comma 54).

Le indennità di oggi sono «inadeguate», ha tagliato corto con la solita nettezza il ministro per la Pa Renato Brunetta presentando giovedì un programma di supporto alle amministrazioni dei piccoli Comuni. E la legge di bilancio metterà i fondi per aumentarle. Calcoli e parametri sono ancora in via di definizione, ma sul piatto potrebbero arrivare circa 220 milioni.

L’idea di base è di finanziare l’impianto costruito da una serie di proposte di legge che dopo un lungo sonnecchiare al Senato sono state fuse in un testo unificato sui tavoli della commissione Affari costituzionali del Senato. Il nuovo meccanismo aggancerebbe le indennità dei sindaci al parametro rappresentato dal «trattamento economico complessivo» previsto oggi per i presidenti di regione. La base di calcolo, insomma, sarebbe rappresentata dai 13.800 euro lordi al mese fissati per i cosiddetti governatori dall’accordo firmato fra Regioni e Governo nel 2012 dopo che il governo Monti mise un freno alle buste paga, quelle sì allegre e generose, della politica regionale.

Naturalmente la somma piena spetterebbe solo ai sindaci dei Comuni più grandi, quelli capoluogo delle Città metropolitane come Roma, Milano, Torino, Bologna, Firenze o Napoli. Nei capoluoghi di Regione o Provincia con più di 100mila abitanti ci si fermerebbe all’80%, in quelli sotto i 100mila abitanti il tetto sarebbe al 70%, mentre nei Comuni non capoluogo si andrebbe dal 19% previsto negli enti fino a 5mila abitanti al 45% per quelli sopra i 50mila abitanti.

Soglie e percentuali possono ovviamente tornare in discussione, perché il tema è delicato sul piano politico più che su quello economico. Quelle scritte nel testo attuale produrrebbero aumenti importanti rispetto a oggi, fino al raddoppio. L’incrocio fra le vecchie regole e i parametri scritti nella bozza prospetta per Beppe Sala a Milano, Roberto Gualtieri a Roma, Stefano Lo Russo a Torino e Gaetano Manfredi a Napoli un incremento del tetto alle indennità del 97%, la forbice che separa i 13.800 euro lordi dei presidenti di Regione dai 7.018,65 euro previsti ora per i sindaci dei Comuni più grandi. E ancora più forte sarebbe il salto nei capoluoghi di Provincia fino a 100mila abitanti, dove si passerebbe da 4.508,67 a 9.660 euro al mese. Con un trascinamento sui compensi degli assessori, parametrati a quello del sindaco.

Numeri a parte, il cambio di rotta serve ad aggiustare un panorama delle indennità che oggi guarda alla gerarchia degli enti territoriali (inesistente in Costituzione) più che alla complessità dei compiti degli amministratori. Perché un sindaco di città come Milano o Roma, che hanno bilanci rispettivamente da 5 e da 8 miliardi all’anno, svolge senza dubbio un’attività più complessa di un consigliere regionale. Ma guida un ente più debole, per cui guadagna quasi 4mila euro in meno.

Ma in termini numerici la questione riguarda soprattutto i 4.400 Comuni italiani che non arrivano a 3mila abitanti. A loro aveva già provato a pensare il collegato fiscale dello scorso anno (Dl 124/2019), che aveva permesso di far salire l’indennità fino a 1.659,38 euro lordi al mese. In molti dei mini-Comuni però i compensi sono rimaste congelati ai vecchi livelli, che fissavano un tetto a 1.162,03 euro fino a mille abitanti e a 1.301,37 fra mille e 3mila, perché il finanziamento (10 milioni) era insufficiente e la ricerca delle poche centinaia di euro necessarie a completarlo si è rivelata problematica. In pista c’è poi la validità previdenziale degli anni di mandato per i sindaci (solo under 35 nel testo attuale) che non hanno altri lavori mentre guidano il Comune. Perché il volontariato è nobile: ma la sua imposizione alimenta la crisi delle vocazioni che ogni turno elettorale rende più evidente.

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