Stato legittimo degli immobili, la Consulta ferma il mini-condono del Veneto sugli edifici ante 1977
La Corte: incostituzionale la norma sul governo del territorio che equipara il titolo edilizio al certificato di abitabilità/agibilità (e che può anche rendere inefficace il titolo valido)
Bocciatura netta e rotonda alle legge regionale del Veneto n.61/85 che - a partire dalle modifiche introdotte nel giugno 2021 - ha previsto, in due diverse fattispecie, la possibilità di attestare lo stato legittimo di un immobile con una modalità semplificata in modo particolarmente creativo. La Corte Costituzionale - con la pronuncia n.217/2022 depositata il 21 ottobre - ha dichiarato illegittime tutte e due le norme impugnate a suo tempo dal governo nazionale, in quanto in tutti e due i casi la Regione Veneto è intervenuta su principi fondamentali del governo del territorio fissati dallo Stato, sconfinando dunque nella competenza del legislatore nazionale. Ma soprattutto discostandosi in modo significativo dal testo unico edilizia.
Lo stato legittimo degli immobili secondo il Dpr 380
Il testo del Dpr 380 (articolo 9-bis, comma 1-bis, come modificato dal Dl Semplificazioni n.76/2020) afferma che lo stato legittimo dell'immobile è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che l'ha legittimata, prevedendo che «per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia».
Stato legittimo e agibilità/abitabilità
Ed ecco invece cosa ha previsto la legge del Veneto. La prima situazione (comma 1-bis, articolo 93-bis) riguarda gli immobili sui quali siano intervenute variazioni non essenziali prima del 30 gennaio 1977. La norma stabilisce che: se tali immobili sono in proprietà o in disponibilità di soggetti che non hanno apportato tali variazioni non essenziali e sono dotati di certificato di abitabilità o agibilità, lo stato legittimo «coincide con l'assetto dell'immobile al quale si riferiscono i predetti certificati, fatta salva l'efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi». In altre parole, ragionano i giudici, la norma del Veneto ha stabilito la sostituzione del certificato di agibilità o abitabilità al titolo edilizio per gli edifici cui siano state apportate modifiche fino al 29 gennaio 1977, confondendo due piani sostanzialmente diversi e autonomi: il primo attiene al rispetto di norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità igiene ecc. mentre il secondo attiene al rispetto di norme urbanistiche ed edilizie.
Ma dal momento che la legge urbanistica del 42, come modificata nel 1967, introduce l'obbligo della licenza edilizia a partire dal 1° settembre 1967 per autorizzare interventi edilizi di nuova costruzione, ampliamenti, modifiche o demolizioni, ne consegue che il Veneto introduce, di fatto, una deroga rispetto alle norme statali nel periodo tra il 1° settembre 1967 e il 29 gennaio 1977. Periodo nel quale, ricordano i giudici, non si era ancora affermata (e codificata) una distinzione tra opere edilizie essenziali e non essenziali, individuando in tutti i casi, in mancanza di licenza, una violazione, con obbligo di rimuovere la difformità. La distinzione tra interventi edilizi di maggiore o minore rilevanza viene ulteriormente definita in occasione del condono del 1985, che prevede una gradualità di sanzioni tra variazioni essenziali, e variazioni non essenziali (in parziale difformità), le quali tuttavia continuano a costituire una violazione amministrativa da sanare.
Quest'ultimo principio, ricordano i giudici, è stato recentemente confermato dal Dl n.133/2014 il quale ha introdotto all'articolo 22 del Testo unico edilizia il comma 2-bis «in cui viene contemplata la possibilità di presentare una segnalazione certificata d'inizio attività (SCIA) in caso di varianti al permesso di costruire che non costituiscano variazioni essenziali, se realizzate in corso di esecuzione dei lavori» rispetto al titolo edilizio rilasciato, con possibilità di regolarizzare le difformità se ne ricorrono i presupposti. Si arriva alla stessa conclusione anche guardando «all'unica ipotesi in cui possono ritenersi regolari difformità esecutive rispetto a titoli abilitativi rilasciati in passato»: «quella delle cosiddette tolleranze costruttive», previste per la prima volta dal Dl 70/2011 nel testo prima trasfuso nel Dpr 380 con il comma 2-ter dell'articolo 34 e poi nel nuovo articolo 34-bis introdotto dal Dl 76/2020. Proprio da quest'ultima norma, concludono i giudici, «se ne inferisce con chiarezza che le difformità eccedenti la soglia del 2 per cento, ancorché risalenti nel tempo, restano variazioni non essenziali, che integrano una parziale difformità».
L'attestazione può rendere inefficace il titolo edilizio precedente
La seconda norma veneta dichiarata incostituzionale dai giudici (comma 2 dell'articolo 93-bis) prevede che «nel regolare gli immobili realizzati, in epoca antecedente al 1° settembre 1967, in zone esterne ai centri abitati e alle zone di espansione previste da eventuali piani regolatori, dispone che la condizione di stato legittimo sia attestata dall'assetto dell'edificio realizzato entro quella data e adeguatamente documentato, mentre viene esclusa l'efficacia dell'eventuale titolo abilitativo rilasciato anche in attuazione di piani, regolamenti o provvedimenti di carattere generale comunque denominati, di epoca precedente». I giudici ricordano che nonostante l'obbligo di licenza edilizia fosse previsto dalla legge del 1967 (in vigore proprio dal 1° settembre) solo nei centri abitati, c'erano altre norme che in alcuni casi potevano rendere necessario una forma di autorizzazione, anche prima della stessa legge urbanistica del 1942. Per esempio nel caso di costruzioni in comuni in zone sismiche, il cui «obbligo era sancito a livello di fonte primaria dal regio decreto-legge 25 marzo 1935, n. 640 (Nuovo testo delle norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti) e dal regio decreto-legge 22 novembre 1937, n. 2105 (Norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti), il cui Allegato comprendeva alcune province della Regione Veneto». «Inoltre - fanno presente i giudici - l'obbligo di previa autorizzazione alla costruzione poteva essere disposto dal regolamento edilizio comunale, emanato in esecuzione della potestà regolamentare attribuita ai comuni nella materia edilizia» da vari testi unici di leggi comunali e provinciali previsti persino in un regio decreto del 1889. Anche in questo caso, dunque, la norma regionale interviene indebitamente su norme di rango superiore.
Peraltro, la norma «dispone altresì d'imperio la non efficacia di titoli abilitativi rilasciati in adempimento di obblighi previsti da fonti primarie speciali o da fonti non primarie», di fatto negando l'efficacia di un titolo edilizio rilasciato legittimamente. Conclusione: anche questa misura è incostituzionale, in quanto «compromette le funzioni che la norma statale interposta attribuisce all'attestazione dello stato legittimo, finendo addirittura con l'incidere su titoli abilitativi edilizi pienamente validi ed efficaci».