Appalti

Subappalto, nessun diniego automatico per condanne di reati ininfluenti su moralità e affidabilità

Lo ha deciso il Consiglio di Stato, estendendo a questa fattispecie alcuni recenti orientamenti giurisprudenziali

immagine non disponibile

di Roberto Mangani

L'omessa dichiarazione da parte del subappaltatore di una sentenza di condanna emessa nei confronti del proprio direttore tecnico non può legittimare in via automatica e senza alcuna valutazione da parte dell'ente appaltante il diniego all'autorizzazione al subappalto. Ciò tanto più se i reati per i quali è intervenuta la condanna, per la loro natura, non hanno un'incidenza diretta sulla moralità professionale e affidabilità del subappaltatore. È questo il principio affermato dal Consiglio di stato, Sez. V, 15 giugno 2021, n. 4641, che estende all'autorizzazione al subappalto – e quindi alla posizione del subappaltatore – gli orientamenti giurisprudenziali più recenti sul tema delle false o omesse dichiarazioni di fattispecie potenzialmente idonee a incidere sulla moralità professionale dei concorrenti.

Il fatto
Nell'ambito di un contratto affidato dalla Consip per l'esecuzione del servizio integrato energia per le pubbliche amministrazioni, la stazione appaltante aveva negato l'autorizzazione al subappalto per l'affidamento di alcune specifiche prestazioni, relative al servizio di manutenzione dei quadri elettrici. Il diniego all'autorizzazione veniva motivato in relazione all'omessa dichiarazione da parte del subappaltatore di una sentenza di condanna emanata a carico del proprio direttore tecnico per i reati di ingiurie e lesioni lievissime. Il subappaltatore impugnava tale diniego davanti al giudice amministrativo che tuttavia, in primo grado, respingeva il ricorso confermando la legittimità del comportamento della stazione appaltante. Il giudice riteneva infatti che l'omissione dichiarativa posta in essere dal subappaltatore avesse effetti automaticamente escludenti per una serie concomitante di ragioni. In primo luogo, nonostante il reato di ingiurie fosse stato depenalizzato, rimaneva la condanna per lesioni lievissime, che non era stata dichiarata estinta. In secondo luogo, non era configurabile l'errore scusabile, non potendo tale errore essere stato indotto dalla formulazione del modulo messo a disposizione dall'ente appaltante. Infine, non poteva costituire ragione giustificatrice dell'omissione neanche l'assenza di indicazione della predetta condanna nel certificato del casellario giudiziale dell'interessato, giacché il subappaltatore avrebbe potuto agevolmente superare questa carenza attraverso una semplice interlocuzione con il direttore tecnico.

Contro la pronuncia di primo grado il subappaltatore ha proposto appello davanti al Consiglio di Stato. Sostanzialmente tre i motivi di appello articolati. Con il primo motivo, il ricorrente ha evidenziato che il giudice di primo grado non avrebbe colto la ratio della disciplina sulla causa di esclusione relativa alla moralità professionale. Tale ratio impone di non accogliere un'impostazione meramente formalistica, bensì di privilegiare una lettura volta a prendere in considerazione quei reati che essendo posti in essere contro lo Stato o comunque contro la collettività, sono effettivamente in grado di incidere sulla moralità professionale. Mentre, con tutta evidenza, queste caratteristiche non sarebbero ascrivibili alla tipologia di reato imputabile al direttore tecnico. Sotto questo profilo, sarebbe quindi mancata del tutto la necessaria valutazione dell'ente appaltante, sia sotto il profilo della tipologia di reato che sotto quello, connesso, della omissione dichiarativa.

Con il secondo motivo di appello il ricorrente ha contestato l'affermazione contenuta nella pronuncia di primo grado secondo cui la dichiarazione resa dal subappaltatore non sarebbe stata veritiera e come tale avrebbe inciso in termini negativi sulla moralità professionale. In realtà si sarebbe trattato tuttalpiù di un'omissione dichiarativa, in relazione a fatti che peraltro erano fuori dalla sfera di conoscibilità del subappaltatore, attenendo a comportamenti che nulla hanno a che fare con la nozione di moralità professionale. Con il terzo motivo di ricorso veniva evidenziato che il giudice di primo grado avrebbe inopinatamente omesso di valutare che nel disciplinare di gara non vi era alcuna clausola che esplicitante prevedesse l'esclusione per la mancata dichiarazione di reati di scarso rilievo.

La posizione del Consiglio di Stato
Il giudice d'appello ha sostanzialmente accolto i motivi di ricorso, riformando quindi la sentenza di primo grado. Quest'ultima è stata in primo luogo censurata in relazione alla ritenuta falsità delle dichiarazioni rese dal subappaltatore, anche in relazione alla possibile agevole acquisizione delle notizie relative al reato commesso dal direttore tecnico, ancorché estraneo in senso stretto alla nozione di moralità professionale. Secondo il giudice di appello, nel caso di specie non viene in considerazione un'ipotesi di falsità delle dichiarazioni, quanto piuttosto di una eventuale omissione dichiarativa.

Sotto quest'ultimo profilo tuttavia l'omissione potrebbe in concreto rilevare a fronte di un esplicito obbligo dichiarativo contenuto in una norma o enunciato nei documenti di gara. In ogni caso, un obbligo dichiarativo potrebbe ritenersi legittimo nella misura in cui si riferisse a fattispecie o notizie astrattamente idonee a incidere sulla integrità o affidabilità dell'operatore. Questa impostazione peraltro risponde ai principi della tassatività delle cause di esclusione e del favor partecipationis. Principi che vanno letti alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui l'omissione dichiarativa può essere sanzionata con l'esclusione solo nell'ipotesi in cui il relativo onere sia esplicitamente previsto, in maniera chiara e inequivoca, nella documentazione di gara.

Da tutto ciò deriva la conclusione netta cui giunge il Consiglio di Stato: l'omissione dichiarativa, anche qualora ne sia riconosciuta la sussistenza, non può comportare automaticamente l'esclusione del soggetto che se ne sia reso colpevole, ma deve essere oggetto di una specifica valutazione da parte dell'ente appaltante, che deve accertare se e in che misura essa effettivamente incida sulla integrità e affidabilità dell'operatore. In sostanza, non vi può essere alcun effetto automaticamente escludente, ma occorre un apprezzamento discrezionale dell'ente appaltante volto a verificare se l'omissione dichiarativa abbia intaccato il requisito della moralità professionale dell'operatore economico, e solo qualora tale verifica dia esito positivo lo stesso ente appaltante è legittimato a escludere quest'ultimo. Sotto quest'ultimo profilo occorre distinguere tra omissione dichiarativa e falsità della dichiarazione in sé considerata. Quest'ultima ipotesi ricomprende i casi in cui l'operatore economico abbia presentato alla stazione appaltante nell'ambito della procedura di gara dichiarazioni non veritiere (così detto falso dichiarativo); in questa ipotesi può operare l'effetto escludente in via immediata e diretta.

Diverso è il caso dell'omissione dichiarativa finalizzata a influenzare il processo decisionale dell'ente appaltante in tema di esclusione, selezione e aggiudicazione e più in generale di corretto svolgimento della procedura, cui peraltro viene equiparata l'ipotesi di avere fornito, ai medesimi fini, informazioni false o fuorvianti (ipotesi diversa dalla vere e proprie dichiarazioni non veritiere, il così detto falso dichiarativo di cui sopra). In questi casi, poiché si tratta di comportamenti che il legislatore ha astrattamente ritenuto idonei a configurare gravi illeciti professionali, è necessaria una valutazione di merito dell'ente appaltante che, in relazione alla fattispecie concreta, accerti se l'informazione è effettivamente falsa o fuorviante o se l'omissione informativa ha effettivamente influenzato la correttezza del proprio processo decisionale e soprattutto se ha inciso sull'integrità o affidabilità dell'operatore economico. Si tratta di una valutazione discrezionale che deve necessariamente essere operata dall'ente appaltante e che spetta a quest'ultima in via esclusiva, non potendo essere rimessa in prima battuta al giudice amministrativo. L'esclusione dell'operatore potrà essere disposta solo se l'indicata valutazione abbia dato esito positivo.

Applicando i principi indicati al caso di specie – e quindi trasferendo gli stessi dall'ambito delle esclusioni dei concorrenti dalle gare a quello dell'autorizzazione al subappalto - il Consiglio di Stato giunge alla conclusione che il diniego di tale autorizzazione da parte dell'ente appaltante non può considerarsi legittimo. Tale diniego si è infatti fondato su un effetto espulsivo di natura automatica conseguente all'omissione dichiarativa, senza che sia stata effettuata alcuna valutazione in merito alla rilevanza dei fatti e degli elementi omessi e della loro incidenza sulla integrità e affidabilità dell'operatore economico (nel caso di specie, il subappaltatore). Dunque, la pronuncia ribadisce – e allarga all'autorizzazione al subappalto – quell'orientamento che, ai fini di decretare l'esclusione degli operatori economici dalle procedure di gara in relazione alle dichiarazione rese o a quelle omesse, tende a privilegiare gli aspetti sostanziali a quelle formali e, soprattutto, richiede una valutazione del caso concreto, senza astratti paradigmi e impropri effetti escludenti di tipo automatico.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©