Appalti

Subappalto, la Pa può imporre limiti ulteriori a quelli minimi del codice (aggiornato)

Il Consiglio di Stato interpreta le novità sui subaffidamenti dopo le correzioni in senso europeo introdotte dal Dl 77/2022

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di Roberto Mangani

Nella nuova disciplina del subappalto vigente a seguito delle ultime modifiche apportate all'articolo 105 del D.lgs. 50/2016 la possibilità di affidare le prestazioni in subappalto incontra due limiti: non si può subappaltare la totalità delle prestazioni oggetto del contratto di appalto né la prevalente esecuzione delle lavorazioni (prestazioni) appartenenti alle categorie prevalenti nonché dei contratti ad alta intensità di manodopera.

Fermo restando questi limiti, la stazione appaltante può comunque indicare nei documenti di gara alcune prestazioni che debbono essere necessariamente eseguite dall'aggiudicatario, essendo quindi per le stesse precluso il ricorso al subappalto. Di conseguenza, è del tutto legittimo il comportamento della stazione appaltante che nell'ambito di un appalto di servizi abbia limitato la possibilità di ricorrere al subappalto solo ad alcune prestazioni definite come secondarie, con l'effetto che le prestazioni principali debbano obbligatoriamente essere eseguite dall'appaltatore aggiudicatario.

Si è espresso in questi termini il Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 febbraio 2022, n. 1300, con una pronuncia che offre una chiave di lettura della nuova disciplina del subappalto dopo le ultime modifiche introdotte dal Decreto legge 77/2021 (convertito nella legge 198/2021). La pronuncia affronta anche il tema del così detti appalti riservati, cioè quelli per i quali le relative procedure di gara possono essere rese accessibili solo a determinati soggetti (consorzi di cooperative e altri operatori economici) che abbiano come finalità l'integrazione sociale e professionale dei lavoratori svantaggiati.

Il fatto
Un ente locale aveva indetto una procedura di gara a carattere "riservato" per l'affidamento di alcuni servizi connessi alla raccolta e gestione dei rifiuti. Gli atti della procedura sono stati impugnati da un operatore del settore che ha contestato la scelta dell'ente appaltante di considerare l'appalto in questione come "riservato", cioè accessibile esclusivamente alle cooperative sociali di cui alla legge 381/1991, scelta che ha precluso la sua partecipazione alla relativa procedura di gara. Diversi i motivi di ricorso proposti davanti al giudice amministrativo.

In primo luogo è stato contestato che l'ente appaltante avrebbe violato i limiti che la norma richiamata impone per il ricorso ai così detti appalti "riservati". Secondo il ricorrente questa possibilità sarebbe preclusa per gli appalti relativi a servizi pubblici locali di rilevanza economica – come andrebbe qualificato quello in oggetto – e comunque di importo superiore alla soglia comunitaria. Tali limiti sarebbero coerenti con la necessità di evitare una generale riserva di partecipazione alle gare a favore di determinati soggetti, che contrasterebbe con il principio di concorrenzialità, interpretato alla luce dei correlati principi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza. In secondo luogo il ricorrente ha censurato la mancanza di un'adeguata motivazione da parte dell'ente appaltante, necessaria per giustificare la deroga ai principi comunitari della libera concorrenza e del confronto competitivo. Infine l'ente appaltante, nel dettare la disciplina concretamente applicabile all'appalto in questione, sarebbe incorso in una palese illogicità idonea a sviare la finalità che lo stesso ente intendeva perseguire con il ricorso all'appalto "riservato", e cioè l'integrazione sociale e professionale delle persone svantaggiate. Ciò in quanto la richiamata disciplina consentirebbe un impiego differito dei lavoratori svantaggiati, l'applicazione della clausola sociale a favore dei dipendenti del precedente appaltatore e sopra tutto un ampio ricorso al subappalto.

In particolare, sotto quest'ultimo profilo la possibilità di utilizzare in misura rilevante il subappalto comporterebbe che nei fatti molte delle prestazioni oggetto dell'appalto verrebbero eseguite da operatori "ordinari", non aventi quindi la finalità primaria di tutelare i lavoratori svantaggiati. Il che determinerebbe una evidente distorsione del ricorso all'appalto "riservato", con la sostanziale elusione della sua finalità essenziale.

Il ricorso è stato respinto dal Tar Campania, la cui sentenza è stata oggetto di appello davanti al Consiglio di Stato che con la pronuncia in commento ha affrontato le diverse questioni sollevate dal ricorrente.

Le norme comunitarie e nazionali sugli appalti riservati
Relativamente a questa tematica il Consiglio di Stato opera una preliminare ricostruzione delle relative norme comunitarie e nazionali. L'articolo 20 della Direttiva UE 2014/24 prevede che gli Stati membri possano riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto a operatori economici il cui scopo principale sia l'integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate. La norma comunitaria è stata recepita - con qualche limitato adattamento – dall'articolo 112 del D.lgs. 50/2016. Tale articolo sancisce la possibilità che le stazioni appaltanti riservino la partecipazione a procedure di appalto e di concessione a operatori economici nonché a cooperative sociali e loro consorzi il cui scopo principale sia l'integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate. La normativa nazionale contempla anche un'altra disposizione, antecedente al richiamato articolo 112. Si tratta dell'articolo 1, comma 1, della legge 381/91, che disciplina l'attività delle cooperative sociali. In base a tale norma gli enti pubblici sono autorizzati a stipulare con le cooperative sociali – anche in deroga alla disciplina sui contratti pubblici – convenzioni per la fornitura di beni e lo svolgimento di servizi di importo inferiore alle soglie comunitarie.

Sul tema si è espressa anche la Corte di giustizia UE. Con una sentenza del 6 ottobre 2021, n. 598/19, il giudice comunitario ha sancito il principio secondo cui l'articolo 20 della direttiva 2014/24 consente agli enti appaltanti, qualora decidano di attivare una procedura per l'affidamento di un appalto "riservato", di stabilire condizioni di partecipazione diverse ed ulteriori rispetto a quelle indicate dalla norma (cioè quelle che impongono che gli operatori che partecipano alla gara abbiamo come finalità principale l'inserimento sociale e professionale di lavoratori svantaggiati). Sulla base di questo quadro normativo il Consiglio di Stato ha poi esaminato le diverse questioni sollevate dal ricorrente.

L'ambito applicativo della disciplina degli appalti riservati
La prima questione riguarda il vizio in cui sarebbe incorso l'ente appaltante a causa mancato coordinamento tra le due disposizioni nazionali. Secondo l'appellante l'articolo 112 del D.lgs. 50 andrebbe letto alla luce delle previsioni contenute all'articolo 1 della legge 381, con la conseguenza che il ricorso agli appalti "riservati" non sarebbe ammissibile né per l'affidamento dei servizi pubblici locali né, soprattutto, per gli appalti di rilevanza comunitaria. Questa censura è stata respinta dal Consiglio di Stato. Ciò sulla base dell'argomento fondamentale secondo cui la disciplina comunitaria – di cui l'articolo 112 del D.lgs. 50 costituisce fedele attuazione – ha la finalità di facilitare e ampliare la partecipazione al mondo del lavoro di categorie svantaggiate. Di fronte a questo chiaro indirizzo è errato sostenere che gli appalti "riservati" sarebbero limitati a quelli di valore inferiore alle soglie comunitarie, poiché tale limite – previsto dalla legge 381 – deve ritenersi superato dal successivo articolo 112 del D.lgs. 50, anche perché in contraddizione con la stessa previsione comunitaria. Né vale richiamare l'argomento secondo cui non potrebbero essere oggetto di appalti "riservarti" i servizi pubblici locali di rilevanza economica. Tale argomento – che poteva avere una sua valenza nella vigenza esclusiva dell'articolo 1 della legge 381 – deve oggi ritenersi superato dall'ampia formulazione contenuta nell'articolo 112 del D.lgs. 50, che parla genericamente di procedure di appalto, contemplando quindi anche quelle relative all'affidamento di un servizio pubblico locale.

Appalti riservati e subappalto
Tra i motivi di appello, come detto, vi era anche quello relativo alla possibilità riconosciuta dall'ente appaltante di un ricorso eccessivo al subappalto, che sarebbe in contraddizione con la finalità della riserva, volta a favorire quegli operatori che, in qualità di appaltatori, hanno come obiettivo principale l'inserimento professionale e sociale dei lavoratori svantaggiati. È infatti evidente che se le prestazioni vengono eseguite in termini quantitativamente rilevante da operatori ordinari – che non hanno quindi l'obbligo di favorire l'impiego di lavoratori svantaggiati – la finalità della norma relativa all'appalto riservato ne esce ridimensionata.

Al riguardo, il Consiglio di Stato ricorda che l'articolo 105 del D.lgs. 50, a seguito delle ultime modifiche introdotte, pone due limiti all'utilizzo del subappalto (comma 1): è vietato il subappalto integrale nonché il subappalto della parte prevalente delle lavorazioni (leggi: prestazioni) appartenenti alle categorie prevalenti e dei contratti ad alta intensità di manodopera.

In linea generale non vi sono quindi spazi per l'introduzione di limiti ulteriori rispetto a quelli indicati dalla norma. Secondo il Consiglio di Stato, nel caso di specie l'ente appaltante avrebbe tuttavia operato legittimamente rispettando le previsioni normative, avendo limitato la possibilità di ricorrere al subappalto ad alcune prestazioni contrattuali, qualificate come secondarie, e stabilendo di contro che l'appaltatore aggiudicatario dovesse eseguire direttamnte le prestazioni principali. Non vi è quindi alcuna evidenza che attraverso questa disciplina del subappalto l'ente committente avrebbe operato uno sviamento della finalità stessa della normativa sugli appalti riservati.

Il ragionamento del giudice amministrativo sembra in realtà privo di un passaggio fondamentale. Ci si riferisce alla disposizione contenuta nel comma 2 dell'articolo 105 che, al di là dei divieti stabiliti direttamente dal legislatore, consente all'ente appaltante di prevedere che determinate prestazioni siano eseguite direttamente dall'appaltatore aggiudicatario, vietando quindi il subappalto. Ed è esattamente quanto avvenuto nel caso di specie, in cui è stato imposto all'appaltatore aggiudicatario di eseguire direttamente le prestazioni principali (consentendo il subappalto solo delle prestazioni secondarie). Va peraltro evidenziato che il richiamato comma 2 subordina tale limitazione a una valutazione in merito alle caratteristiche tecniche dell'appalto o all'esigenza di rafforzare la tutela delle condizioni di lavoro o ancora alla necessità di prevenire le infiltrazioni criminali.

Nel caso di specie invece la limitazione introdotta sembra piuttosto collegata proprio alla natura "riservata" dell'appalto, dettata cioè dall'esigenza di assicurare che la prevalente parte delle prestazioni siano eseguite da operatori dedicati a favorire opportunità di lavoro per le persone svantaggiate. Ragione giustificatrice della limitazione che, pur non essendo perfettamente riconducibile alle condizioni indicate dalla norma, appare tuttavia meritevole di positiva valutazione.

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