Il CommentoAmministratori

Sui compensi nelle partecipate un blocco anacronistico da superare

di Stefano Pozzoli

Un emendamento presentato dall'onorevole Luca Sani alla legge di bilancio (AC 2790) ripropone un tema importante quanto ostinatamente ignorato dalla politica, ovvero quello dei compensi per gli amministratori di società pubbliche. Emolumenti a oggi cristallizzati nella misura dell'80% di quanto erogato al 31 dicembre 2013 (articolo 11, comma 7).

Il Testo unico sulle partecipate, in realtà, prevederebbe ben altro, ovvero l'emanazione di un decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti che determini «il limite dei compensi massimi al quale gli organi di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario» (articolo 11, comma 6).

Un decreto, ironia della sorte, che il legislatore della legge Madia aveva giudicato urgentissimo, al punto da statuire che «il decreto di cui all'articolo 11, comma 6 è adottato entro trenta giorni" dalla di emanazione del Tusp (articolo 26, comma 8). Eppure non ha mai superato lo status di "bozza", né tanto meno avviato il necessario percorso parlamentare e in Conferenza Stato-Regioni.

A oggi, in sostanza si preferisce seguire la strada di Lewis Carroll in Alice nel Paese delle Meraviglie. Quest'ultimo, infatti, aveva condannato il Cappellaio Matto e la Lepre di Marzo a vivere sempre e solo l'ora del tè. Il Governo, invece, ha deciso di far percepire agli amministratori sempre il medesimo emolumento.

L'emendamento propone una soluzione certo parziale, visto che riguarda solo i gruppi, ma comunque molto interessante. Infatti, riesce a essere rispettosa dei vincoli di finanza pubblica e, al tempo stesso, a riconoscere un minimo di elasticità al sistema delle società pubbliche, per le quali sette anni sono un tempo siderale.

Si propone che, «nel caso di gruppi societari il costo annuale sostenuto di riferimento è da considerarsi quello complessivo di gruppo. Entro detto limite il compenso degli amministratori può essere attribuito alle singole società facenti parte il gruppo». Una semplice integrazione all'articolo 4, comma 4 del Dl 95/2012 che consentirebbe, almeno, nei gruppi societari, a parità di spesa, di riconoscere compensi maggiori in quelle società che sono ritenute più meritevoli, ovviamente sacrificando quelle "decadute".

Si otterrebbe, per di più un doppio beneficio. Il primo è evitare che le società neocostituite siano libere da vincoli, non avendo il dato 2013 da prendere a riferimento. È chiaro che questo, abbinato alla facoltà prevista dall'articolo 11 di essere amministratori di più società del gruppo, possibilità solo in parte contestata da Anac, rappresenta una facile elusione in presenza di controllate.

La seconda è, invece, industrialmente più interessante. La possibilità di riallocare i compensi del 2013 rappresenta uno stimolo alle aggregazioni, giacché dalla riduzione delle società si otterrebbe un maggior budget attribuibile gli amministratori delle società risultanti dalla fusione.

Una proposta di buonsenso, dunque, che si spera sia recepita nella legge di bilancio, visto che da troppo tempo tutto tace su questo tema. Ovviamente, però, sempre restando in attesa di una soluzione definitiva e che valga per tutte le società pubbliche.

Anche qui torna in mente un dialogo di Alice, quando chiede: «Per quanto tempo è per sempre?». Nello splendido libro di Carrol il Bianconiglio risponde: «A volte, solo un secondo». Nel nostro caso, probabilmente, replicherebbe: «A volte solo un decreto ministeriale».