Urbanistica

Superbonus,con il boom post-Semplificazioni la corsa all'efficienza costa 1,35 miliardi al mese

I fondi stanziati per il 110% ammontano a 18 miliardi: per arrivare in fondo al 2023 a questo ritmo ne servirebbero 43

di Mauro Salerno

Un booster (economico) di ultima generazione, certo, ma piuttosto costoso. Dopo quella del «bazooka» per i cantieri - usata ai tempi del governo Conte - è forse questa l'immagine che rischia di fotografare meglio l'effetto del Superbonus 110% agli occhi del nuovo governo. Dopo il flop dei primi mesi, che aveva fatto pensare a un cannone caricato a salve, a causa del recinto di adempimenti messo a guardia della "cassa" da parte di chi anche prima dell'avvento dell'esecutivo Draghi era preoccupato dai costi per l'Erario, le semplificazioni del Dl 77/2021 arrivate alla fine dello scorso maggio hanno messo le ali ai piedi del 110%.

La misura chiave è stata l'abolizione del controllo preventivo sui piccoli abusi. Da allora si sono aperti i recinti. E anche i condomìni che prima erano bloccati da proprietari di appartamenti che negli anni avevano manovrato all'ombra degli uffici urbanistici con verande e tramezzi, sono potuti rientrare pienamente in gioco. Giustamente. Forse è il caso di lasciarsi alle spalle qualche ipocrisia: se quei piccoli abusi sono tollerati da decenni, che senso avrebbe avuto bloccare la possibilità di riqualificare interi edifici, lasciandoli nelle loro condizioni colabrodo (non solo per i consumi energetici), invece di rimettere tutto a nuovo, superando anche le vecchie storture?

Come accade con (quasi) tutte le cose umane, gratta gratta, alla fine tutto diventa solo un problema di soldi. Al momento, le somme stanziate a copertura del Superbonus ammontano a 18 miliardi. Un importo che nelle prime valutazioni sarebbe dovuto servire a garantire la copertura del 110% fino al 2022. Il boom degli ultimi mesi rischia ora di rendere la coperta troppo corta anche per arrivare a quella data. Mettendo il governo nella necessità di trovare nuove (ingenti) risorse per garantire la proroga degli incentivi - così come sono - di altri 12-18 mesi a econda dei casi, per coprire tutto il 2023. Non è un caso che il ministro dell'Economia Daniele Franco si sia lasciato sfuggire nei giorni scorsi che l'impatto sul debito del Superbonus 110% rischia di essere «stratosferico».

Si può provare a stimare di che cifre si parla partendo dai dati ufficiali comunicati dall'Enea. Prima dell'entrata in vigore del decreto Semplificazioni (fine maggio 2021) il Superbonus aveva prodotto 14.450 interventi per 1,8 miliardi di euro. Di questi 13.066 riguardavano edifici unifamiliari o indipendenti (quelli che il governo vorrebbe non prorogare fermandosi al 2022) e solo 1.384 condomini. Saltato il tappo dell'asseverazione preventiva dello «stato legittimo degli immobili» nei quattro mesi successivi, anche i condomini hanno cominciato a marciare e queste cifre si sono triplicate.

Al 30 settembre 2021 l'Enea ha comunicato che gli interventi "asseverati", cioè ammessi al bonus, sono 46.195, per un totale di 7,5 miliardi di investimenti ammessi a detrazione. Dai condomini sono arrivate 6.406 richieste per un controvalore di 3,57 miliardi. I proprietari di case unifamiliari o indipendenti hanno attivato 39.789 interventi per 3,9 miliardi. Facendo due calcoli si scopre nei quattro mesi post-semplificazioni dai condomini sono arrivate 5022 richieste: in media 1.255 al mese, contro le 1.384 totali arrivate nei primi 12 mesi di operatività del 110%. Edifici unifamiliari e indipendenti sono stati interessati da 23.723 progetti: in media 6.681 al mese. Enea stima anche i costi medi degli interventi ammessi al Superbonus. I condomini sono interessati da progetti ovviamente più complessi che valgono in media 557.730,54 euro, per case unifamiliari e unità indipendenti si viaggia in una forchetta compresa tra 94mila e 102mila euro.

Facile allora calcolare il costo medio mensile del Superbonus. Da maggio in poi si viaggia a una cifra media di 700 milioni al mese per i condomini e di 655 milioni per edifici unifamiliari/indipendenti (calcolando una media di 98mila euro a progetto). Sommando si arriva a 1,35 miliardi al mese. Mantenendo questo ritmo anche negli ultimi tre mesi dell'anno, ai 7,5 miliardi già «asseverati», si aggiungerebbero lavori da finanziare con il 110% per altri 4 miliardi. Arrivando a un totale di 11,5 miliardi a fine 2021. Se la corsa agli incentivi non frena, ma neppure accelera (come invece tutto lascerebbe presagire), per arrivare a fine 2023 al costo di 1,35 miliardi al mese servono altri 32,4 miliardi, che sommati agli 11,5 miliardi del 2021 portano il costo totale della manovra a 43,9 miliardi, contro i soli 18 finora stanziati.

Si sa peraltro che in Italia esistono circa 30 milioni di abitazioni: se ognuna venisse riqualificata con la promessa delle spese pagate dal Fisco, al costo di 98mila euro a intervento si arriverebbe alla cifra monstre di 2.940 miliardi di euro. Era forse questo il numero «stratosferico» venuto in mente al ministro qualche giorno fa.

Sono stime grossolane, che certamente non tengono conto dei ritorni economici sia in termini di rilancio di intere filiere economiche, sia in termini di tasse versate all'Erario, per il surplus di interventi che senza incentivi non sarebbero stati realizzati. Ma bisogna ricordare che, qualunque sia l'effetto finale sui conti, chi governa è costretto a coprire in anticipo qualunque misura di spesa, stanziando le cifre necessarie.

In ogni modo, per decidere è comunque bene avere un'idea degli ordini di grandezza di cui stiamo parlando. È più che legittimo, anzi sacrosanto, perseguire obiettivi di efficienza energetica e al contempo sostenere un grande settore industriale come le costruzioni (e tutto il suo immenso indotto). Anche perché questo, di riflesso, significa rinnovare le nostre infrastrutture, abbellire le nostre città, ridurre gli sprechi energetici. In sostanza, migliorare in concreto la qualità di vita dei cittadini. Ogni misura con cui il governo è alle prese in questi giorni, pensioni, reddito di cittadinanza, bonus edilizi, ha un obiettivo non solo lecito, ma condivisibile e razionale: bisognerebbe solo evitare che le politiche finanziarie e industriali di un grande Paese vengano discusse guardando soprattutto (o solo) alle urne.

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