Fisco e contabilità

Conversione del Dl Crescita, le norme per salvare gli enti in riequilibrio dopo la sentenza della Consulta

di Antonio Infantino (*) - Rubrica a cura di Anutel

I nove commi aggiunti all'articolo 38 del decreto Crescita, in sede di conversione in legge alla camera, salvano in extremis i conti dei Comuni capoluogo delle città metropolitane e di quelli con più di 60.000 abitanti oltre che degli enti rimasti imbrigliati nella decisione della corte costituzionale (sentenza n. 18 del 2019) che ha dichiarato l'incostituzionalità del comma 714 nella legge 208/2015. Un insieme di norme di dettaglio che cercano di risolvere i problemi finanziari dei Comuni più grandi con un mix di interventi che vanno dagli aiuti finanziari sul debito contratto, fino alla revisione della durata dei piani di riequilibrio, già presentati alla data del 14 febbraio 2019 (data di deposito della sentenza della Consulta), in modo da adeguarli alle nuove scadenze previste dalla legge di bilancio del 2018.

Le modifiche introdotte dalla Camera dei Deputati
La novità più importante è sicuramente quella che consente di ripresentare i piani di riequilibrio agli enti che avevano rimodulato o riformulato i piani di equilibrio, ai sensi del comma 714 della legge 208 del 2015, per usufruire delle nuove scadenze determinate sulla base di un parametro oggettivo basato sul rapporto massa passiva da ripianare e impegni del titolo I della spesa registrati nell'ultimo rendiconto approvato. La stessa legge di conversione, peraltro, consente ai comuni con più di 60 mila abitanti di sfruttare il nuovo termine massimo (20 anni), qualora il rapporto tra passività e impegni superi il 65 percento (anziché il 100 percento come previsto per tutti gli altri enti). È, in pratica, un salvataggio in extremis per evitare che i Comuni già incisi dai provvedimenti conformativi alla sentenza della Corte Costituzionale da parte delle sezioni di controllo finiscano in dissesto. Nel provvedimento, però, ci sono alcune incongruenze che si spera vengano eliminate in sede di conversione al Senato. La prima riguarda la durata. Perché differenziarla sulla base della sola dimensione demografica dell'ente? Se vediamo la modifica alla tabella contenuta nel comma 5-bis dell'articolo 243-bis del TUEL (durata dei piani di equilibrio) si vede subito che manca un pezzo. In caso di rapporto tra il 60% e il 65%, tra massa passiva e impegni, i comuni con più di 60.000 abitanti quale tempistica dovranno considerare? Quella più breve di 10 anni o la scadenza intermedia di 15 anni, come previsto per tutti gli articoli comuni? Una lettura sistematica farebbe propendere per la seconda ipotesi, anche se è un chiarimento nel testo della legge, in sede di esame al Senato, sarebbe opportuno trattandosi di una norma speciale e, quindi, di stretta interpretazione letterale. La seconda riguarda, invece, gli aspetti procedurali in quanto la novella in considerazione della eccezionalità dell'urgenza prevede tempi particolarmente celeri, pur richiamando le modalità di presentazione previste dai commi 888 e 889 della legge n. 205 del 2017.

La nuova tempistica di esame dei piani di riequilibrio
Con le nuove disposizioni le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti devono esprimersi sull'approvazione o sul diniego dei piani di equilibrio entro 20 giorni dalla ricezione delle delibere del consiglio comunale. Nel caso in cui il piano è ancora pendente presso la Cosfel, la stessa commissione conclude l'istruttoria entro 20 giorni dal momento di ricevimento della delibera consiliare e invia le proprie considerazioni alla Corte dei conti entro i successivi 5 giorni. Quest'ultima dovrà esprimersi entro 20 giorni dalla ricezione degli atti, sull'approvazione sul diniego del piano proposto. La stessa norma precisa che la ripresentazione del piano di riequilibrio non sospendere le azioni esecutive e fa salva la modalità di ripiano degli altri disavanzi di amministrazione, secondo la disciplina a essi dedicata. In particolare, il comma 2-bis del novellato articolo 38, richiama i commi 888 e 889 della legge 205 del 2017 sulle modalità di presentazione dei documenti di risanamento, per adeguarli alle nuove scadenze, dove sono previste due distinte deliberazioni: la prima, da adottare entro 15 giorni dall'entrata in vigore della legge di bilancio, per richiedere la modifica del piano e la seconda, da adottare perentoriamente entro 45 giorni dall'esecutività della prima delibera, per riformulare o rimodulare il piano. Ciò significa, da una prima lettura, che i Comuni interessati dovranno adottare due distinti provvedimenti, secondo quanto indicato dalle disposizioni appena richiamate, da inviare sia alla Cosfel che alla Corte dei conti. Nelle disposizioni in commento non si parla di fase istruttoria da parte degli organi di controllo nonostante il comma 889 ne prevede la possibilità, sia pur con termini dimezzati. Sembrerebbe che le condizioni di urgenza di eccezionalità, richiamate in sede di conversione in legge del decreto, ne escludano l'applicazione, in modo francamente incomprensibile. Il comma introdotto alla Camera prevede, poi, che il piano di riequilibrio riproposto riconsideri il disavanzo complessivo, già oggetto di quello originario.

Conclusioni
Le norme introdotte in sede di conversione del Dl 34/2019 oltre a cercare di mettere al riparo i Comuni che avevano rimodulato i piani di riequilibrio con il comma 714, che a seguito della sentenza della Corte costituzionale rischiavano il dissesto, detta misure per lo più dedicate ai Comuni di grandi dimensioni, in dissesto o pre-dissesto come: specifici contributi per pagare le rate dei mutui contratti per investimenti (commi 1-septies, 1-octies e 1-decies), l'ampliamento del limite temporale di utilizzo delle anticipazioni di cassa per gli enti in dissesto finanziario (comma 1-duodecies), con la possibilità di utilizzare i 5/12 delle entrate accertate nel penultimo rendiconto approvato fino alla raggiungimento dell'equilibrio e comunque non oltre cinque anni dalla dichiarazione di dissesto, la possibilità, per i soli Comuni con più di 60.000 abitanti, di rinegoziare i contatti per l'acquisto di beni e servizi per ridurre il loro importo fino al 5%, a patto di aver dichiarato il dissesto dopo il 1° gennaio 2012 e, successivamente, aver fatto ricorso alla procedura di riequilibrio, con una norma che sembra studiata appositamente per aiutare pochi Comuni. Il decreto non affronta in modo organico, però, la riforma delle crisi finanziarie degli enti locali, per le quale dovremo attendere la revisione del testo unico. Norme che, sicuramente, non aiutano gli enti di piccole medie dimensioni, soprattutto nel sud Italia dove si moltiplicano i casi di ricorso alle procedure di equilibrio, poi seguite da prevedibili quanto preannunciate dichiarazioni di dissesto, grazie a un quadro legislativo che incoraggia comportamenti poco virtuosi o incentiva atteggiamenti dilatori messi in atto solo per evitare di pagare il prezzo politico e amministrativo di dissesti ormai inevitabili, nella speranza di correttivi ad hoc o di salva-enti. Trattare insieme, finalmente, le due procedure di risanamento, come suggerito dal consiglio di presidenza della Corte dei conti in una recente proposta di legge delega, eviterebbe il balletto, infinito, delle rimodulazioni delle riformulazioni dei piani di riequilibrio, consentendo di mettere in salvo i conti di molti Comuni italiani.


(*) Dirigente settore finanziario e contabile - Vice segretario generale del Comune di Rende (CS)

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