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Decreto Semplificazioni/4 - Abuso d’ufficio, più certezza nelle regole

Migliaia e migliaia di procedimenti aperti ogni anno e poi solo poche decine di condanne. Con l’effetto collaterale di un irrigidimento della burocrazia pubblica, che piuttosto di prendersi il rischio di una contestazione penale si adagia in una più tranquilla inerzia. Questa la realtà prodotta dall’attuale versione del reato di abuso d’ufficio, peraltro esito anche in passato di continue riforme e aggiustamenti, che ora il decreto semplificazioni si accinge a modificare.

La bozza messa a punto si muove nella direzione di una più rigida determinazione del perimetro di tassatività penale della norma. E lo fa cambiando in maniera significativa l’attuale articolo 323 del Codice penale. Se quest’ultimo fa riferimento alla generica violazione di norme di legge, al dolo intenzionale, al danno ingiusto, il progetto in corso di elaborazione è concentrato invece sulla precisazione più puntuale delle regole di condotta oggetto della violazione, che dovranno essere costituite da norme di legge oppure da atti con forza equivalente a quella di legge.

L’intervento poi attribuirà una particolare rilevanza al fatto che la disposizione trasgredita poco spazio lasciasse all’esercizio della discrezionalità, che rappresenta pur sempre un criterio importante di esercizio, seppure non di arbitrio, nell’esercizio delle funzioni da parte della pubblica amministrazione. Di conseguenza il rigoroso rispetto delle regole dovrebbe mettere al riparo dagli effetti penali.

Da valutare c’è ancora un’eventuale modifica dei massimi di pena, perchè, per effetto della riforma del 1997 (Governo Prodi), l’abbassamento della sanzione da 5 a 4 anni nell’ipotesi standard del reato, rese di fatto impossibile l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche. Problema non da poco e che non è stato risolto neppure con l’ultimo e assai recente intervento, varato dal Governo Lega-5 Stelle, con la legge anticorruzione, che pure ha sdoganato l’utilizzo dei trojan per alcuni gravi delitti contro la pubblica amministrazione.

Anche l’intervento del ’97, tra l’altro, mise mano all’area del penalmente rilevante, delineando la fattispecie oggi in vigore, introducendo il dolo intenzionale, con le relative difficoltà a provarlo in una fattispecie così complessa che spesso coinvolge una pluralità di soggetti, ed escludendo il vantaggio di natura non patrimoniale.

Quello che si vuole evitare è, come testimoniato dal Sole 24 Ore del lunedì del 15 giugno, il proliferare di denunce che poi non reggono al dibattimento e, spesso, neppure alle indagini. Il rischio cioè di ritenere che esista un profilo di rilevanza penale in ogni (asserita) illegittimità di un atto amministrativo. Tanto per avere un’ida dei numeri, secondo quanto emerge dagli ultimi dati Istat-ministero della Giustizia, nel 2017, ultimo anno disponibile, a fronte di 6.582 procedimenti aperti, le condanne sono state in tutto 57; negli anni precedenti il saldo non si discosta poi molto (per esempio, nel 2016 a fronte di 6.970 procedimenti avviati, le condanne erano state 46).

Le conseguenze però possono essere diverse e in gran parte negative, come segnalato più volte nel dibattito che ha visto coinvolti sia i magistrati sia gli avvocati, ma anche gli amministratori pubblici, per i quali ormai la contestazione dell’abuso d’ufficio è vissuta come un fisiologico “incidente di percorso”. Dall’ingolfamento degli uffici giudiziari, alla paralisi della macchina amministrativa, al danno reputazionale di chi si vede comuunque esposto all’azione penale per diverso tempo.

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