Fisco e contabilità

Sicurezza/1. Allarme delle imprese sull'infortunio da Coronavirus

La possibilità che il contagio non sia gestito come una malattia apre spazi di responsabilità penale aggiuntivi per gli imprenditori

di Luca Orlando

Dagli associati sento molta preoccupazione e anche tanta amarezza – spiega il presidente di Confindustria Vicenza Luciano Vescovi – perché ancora una volta emerge la mentalità italiana anti-impresa: siamo tutti arrabbiatissimi». Insoddisfazione legata agli effetti concreti delle nuove regole, che assimilano il contagio da Covid-19, se contratto in azienda, a infortunio sul lavoro e non a malattia. È il risultato del combinato disposto del decreto Cura Italia e delle ultime circolari Inail, che aprono spazio a potenziali profili di responsabilità anche penale per il datore di lavoro che non abbia adottato le misure necessarie a prevenire il rischio-contagio, con reati che possono arrivare a contemplare anche l’omicidio colposo.

«Chi non adotta le misure di sicurezza previste dai protocolli deve chiudere – aggiunge Vescovi – e su questo occorre essere inflessibili. Ma il Governo non può trasformarci in esperti di pandemie. Qui mi pare si sia alla ricerca dei colpevoli, non della soluzione dei problemi. Ho chiesto ai miei uffici di verificare cosa accade nel resto del mondo, voglio vedere se la scelta italiana è lo standard». Anche se la circolare 13 dell’Inail e il vademecum successivo in risposta alle domande più frequenti hanno chiarito che nel caso di lavoratori di imprese estranei alle categorie a maggiore rischio (ospedali ecc…) l'onere della prova sul contagio in azienda non è a presunzione diretta (semplice) e dunque non è l’imprenditore a doversi discolpare, questo non basta a cancellare la preoccupazione. «Un minimo orientamento a favore delle imprese c’è – spiega il vicepresidente dell'Associazione Industriale Bresciana Roberto Zini – ma non con la chiarezza che servirebbe. Considerare il contagio come infortunio e non malattia mi pare un errore, una scelta grave a sbagliata che preoccupa molto i nostri associati. Entrare nel campo delle responsabilità penali dell’imprenditore per una pandemia globale per cui nessun governo è stato in grado di trovare finora rimedi efficaci e per cui non esiste ancora un protocollo condiviso nel mondo mi pare profondamente sbagliato». Cruciale sarà comunque il pronunciamento del medico, che davanti alla segnalazione del contagio dovrà dare una prima valutazione sull’eventuale ruolo dell’azienda, parere dirimente per avviare la pratica verso l’Inps (malattia) oppure l’Inail (infortunio).

«Si tratta di un modo logicamente scorretto di affrontare il problema – aggiunge il Presidente di Confindustria Piemonte Fabio Ravanelli – perché al di là di eccezioni particolari, come un focolaio specifico dovuto a negligenza conclamata, come si fa a dimostrare che il contagio sia avvenuto proprio in azienda? L’incubazione dura due settimane, le persone si spostano, in azienda sono presenti otto ore, non 24. E tenga conto che le imprese, qui come altrove, stanno lavorando su questo in modo maniacale, anche andando oltre i protocolli. Nel mio gruppo, ad esempio, faremo a breve test sierologici per tutti i 400 addetti».

Timori non isolati e presenti anche nei territori in cui la riapertura delle fabbriche è stata preceduta dalla firma di un dettagliato protocollo di sicurezza territoriale, come a Brescia e Bergamo. «Benissimo sanzionare chi non rispetta i protocolli - spiega il presidente delle Piccola Industria di Confindustria Bergamo Aniello Aliberti - ma parlare di responsabilità penale è una follia. Come si fa a verificare il luogo esatto del contagio? Il rischio è quello di esporci a cause e costi aggiuntivi, impensabile in questa fase». Mail e telefonate delle imprese alle associazioni si moltiplicano, con dubbi avanzati soprattutto dalle imprese minori, tanto da portare il tema al centro della call di ieri tra tutti i presidenti della Piccola Industria in Lombardia. «Certo, si possono fare assicurazioni e assumere avvocati - spiega il presidente della Piccola di Como Walter Pozzi - ma avere costi in più è l’ultimo dei desideri in questa fase. Questa impostazione non ha alcuna logica e gli associati sono molto preoccupati: so che il nostro sistema si sta muovendo nei confronti del Governo per fare in modo che le regole cambino».

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