Imprese

Gare, rischia di pagare un alto prezzo l'impresa che subisce una risoluzione

Il Tar Lombardia conferma l'indirizzo che affida alla Pa un ampio margine di valutazione sulla partecipazione alle nuove procedure

di Fabio Di Salvo

Il Tar Lombardia, sez. IV, con la recente sentenza del 21 gennaio (n. 208/2021) è tornato sulla controversa questione dell'esclusione dalla gara dell'operatore economico che «abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento» (art. 80, comma 5 lett. c-ter), D.lgs. 50/2016).

Il giudice amministrativo – nel rigettare il ricorso presentato dall'impresa, avverso l'esclusione disposta dalla Pa appaltante – ha ribadito concetti già precedentemente espressi dall'orientamento giurisprudenziale:

a) la valutazione in ordine alla rilevanza in concreto ai fini dell'esclusione dei comportamenti accertati è rimessa alla stazione appaltante (cfr. Cons. Stato, sez. III, 29 novembre 2018, n. 6786; 23 agosto 2018, n. 5040; sez. V, 11 giugno 2018, n. 3592; 3 aprile 2018, n. 2063; 2 marzo 2018, n. 1299; 4 dicembre 2017, n. 5704);

b) il legislatore ha riconosciuto a quest'ultima (stazione appaltante) un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell'affidabilità dell'appaltatore (Cass. Civ., S.U., 17 febbraio 2012, n. 2312).

L'orientamento richiamato acuisce – a parere di chi scrive – i punti controversi della questione: se, infatti, alla Pa che bandisce la gara è rimessa la facoltà, secondo un «giudizio autonomo di tipo prognostico» (così si esprime il Tar), di valutare in concreto (seppur con doverosa motivazione) tutti i profili sostanziali che hanno dato vita alla precedente risoluzione, stabilendo se essi assumano o meno rilievo ai fini dell'esclusione, ciò finisce per attribuire all'amministrazione – nella sostanza, se non nella forma – un potere decisorio che, al contrario, dovrebbe essere rimesso alla sola autorità giudiziaria e, in particolare, al giudice ordinario.

Seguendo tale orientamento, infatti, si è portati a concludere che all'appaltatore "incolpevole" (intendosi per tale quegli che fosse in grado di dimostrare e documentare l'illegittimità della risoluzione subita) non residui alcun valido rimedio giuridico contro l'esclusione:

1)l'esclusione dalla gara non rappresenta un evento necessario e conseguente alla precedente risoluzione (poiché rimesso alla valutazione "discrezionale" della Pa appaltante), e pertanto non configura quel grave ed irreparabile pregiudizio che giustificherebbe, in sede cautelare (art. 700 cod. proc. civ.), una "sospensione" (meglio: inibizione) degli effetti della risoluzione subita;

2)allo stesso tempo, la valutazione della ragioni che hanno indotto la precedente Pa a disporre la risoluzione del contratto è rimessa all'amministrazione che bandisce la gara, con ampio margine di apprezzamento: da ciò consegue che, quand'anche l'impresa intendesse promuovere un ordinario giudizio civile contro la disposta risoluzione, assumendone l'illegittimità e chiedendo il risarcimento dei relativi danni, ciò non la terrebbe necessariamente indenne dall'eventuale esclusione da una successiva gara.

A ben vedere, l'attuale versione dell'art. 80, comma 5, lett. c-ter), introdotta come noto dall'art. 5 del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito nella legge n. 12 del 2019, ha determinato un vulnus nell'equilibrio dei rapporti fra amministrazione che bandisce la gara e operatore economico che vi partecipa: il precedente dettato normativo, infatti, prevedeva un'unica lettera c) al comma 5 dell'art. 80 e, soprattutto, nell'individuare la risoluzione anticipata di un precedente contratto fra le circostanze che potevano giurisficare un'esclusione dalla gara, precisava come la stessa dovesse risultare "non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio".

La previgente normativa, dunque, offriva all'appaltatore la possibilità di documentare l'intervenuta contestazione giudiziale della precedente risoluzione e scongiurare, di conseguenza, un'esclusione che potesse fondarsi su tale risoluzione.

L'attuale assetto di legge, al contrario, unitamente all'indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato, ha vanificato ogni iniziativa che, in tal senso, l'impresa intendesse proporre innanzi al giudice ordinario, lasciando all'operatore economico la sola possibilità (non sempre satisfattoria) di chiedere il ristoro dei danni derivanti dalla disposta risoluzione.

Anche su tale ultimo punto, poi, occorre precisare come la c.d. "perdita di chance" (intendosi per tale la possibilità di non vedersi aggiudicare la gara, per effetto dell'esclusione ex art. 80, comma 5) sia, in sostanza, difficilmente dimostrabile in giudizio e ciò proprio in forza di quella "ampia discrezionalità" sopra esaminata: nello stesso tempo, infatti, vengono a concretizzarsi la "non automaticità" dell'esclusione e tuttavia la possibilità dell'amministrazione di valutare autonomamente, senza il vincolo del giudizio civile (eventualmente) pendente, la fondatezza o meno delle circostanze che tale risoluzione hanno determinato.

È auspicabile, pertanto, che si torni al più presto ad una modifica in senso "revisionista" dell'attuale normativa, per tutelare maggiormente gli operatori economici ed anche per prendere atto che – nella prassi quotidiana degli appalti pubblici – spesso le risoluzioni anticipate dei contratti, disposte dalla Pa appaltante in danno dell'appaltatore, sono fondate su elementi quantomeno discutibili e controvertibili. Eliminare del tutto (o rendere molto difficoltosa) la possibilità dell'appaltatore di "arginare" gli effetti della risoluzione attivandosi nella competente sede giudiziaria (giudice ordinario) rappresenta, quindi, un evidente ostacolo alla paritaria partecipazione di tutti gli operatori economici alla gara bandita.

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